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La stanza dei libri

«Il Sud del Sud abita in Calabria»

Chissà perché leggendo “A Sud del Sud: viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti” di Giuseppe Smorto (Zolfo editore, pagine 175, euro 16) mi sono venuti in mente due vecchi libri che…

Pubblicato il: 02/07/2021 – 8:29
di Mimmo Nunnari*
«Il Sud del Sud abita in Calabria»

Chissà perché leggendo “A Sud del Sud: viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti” di Giuseppe Smorto (Zolfo editore, pagine 175, euro 16) mi sono venuti in mente due vecchi libri che sostanzialmente (per i contenuti assai diversi) non c’entrano molto con questo di cui parliamo: sono “Magna Grecia” di Leonard Von Matt e Umberto Zanotti Bianco e “Sulla riva dello Jonio” di George Gissing, libri riemersi leggendo “A Sud del Sud”.
Il primo è un viaggio unico nel mondo archeologico, sotto il cielo e le stelle da Taranto a Reggio Calabria – forse il più grande museo all’aperto del mondo – e l’altro è il resoconto di un cammino appassionato nei luoghi dell’anima meridionale alla ricerca del mondo classico perduto. Pensandoci bene ho capito che il fil rouge che lega assieme i tre libri è l’amore per una terra antica e plurale, che molti disprezzano senza conoscerla, non sapendo cosa si perdono a non amarla, conoscerla meglio e anche, semmai, capirla. Perché la Calabria è terra enigmatica che ha bisogno di essere capita, questo è sicuro. Smorto, un cervello calabrese della diaspora, giornalista per quarant’anni a “la Repubblica”, si è messo anche lui in viaggio come gli antichi viaggiatori: in treno, in auto e a piedi, per raccontare il “sud del sud” dove abita «la Calabria violenta e violentata», come definiva questa terra strana don Italo Calabrò, un prete che chi l’ha conosciuto considera santo prima ancora che arrivi la consacrazione della Chiesa. Ha scritto in punta di penna e in punta di piedi, per non fare rumore. Di solito quando si scrive e si parla di Calabria si urla, si offende, si scrivono e si dicono cose scomposte: banalità trite e ritrite. Anche i cosiddetti grandi giornalisti. Citiamo per tutti Corrado Augias, che è persona colta, civilissima e ragionevole, ma che ha detto e scritto che la Calabria «è terra perduta». Salvo poi correggersi. Smorto ha viaggiato oltre il “visibile”, per dimostrare il contrario. Ha scritto di bellezza, di persone, di grande umanità, di rinascita, e poi del male assoluto: la ndrangheta, che è tragedia anche per chi ci entra, nella malapianta, per sprecare prima di tutto la propria vita.
Come diceva il santo Gaetano Catanoso, prete della periferia e dei poveri, in Calabria tutto o è bianco o è nero, non ci sono vie di mezzo. Il bene e il male sono distinti e distanti. Stanno da una parte, o dall’altra, e in mezzo c’è lo Stato che in realtà non c’è e non c’è mai stato. Lo vediamo principalmente nelle conferenze stampa quando chi lo rappresenta dice che è stato inferto un duro colpo alla mafia; che poi questa mafia sta sempre lì; perché ci vorrebbe ben altro per combatterla, che affidare tutto alle forze dell’ordine, eroi di un’isola infelice. Prima di tutto creare lavoro servirebbe, creare sviluppo e offrire ai cittadini pari opportunità, come a quelli del Nord.
Smorto ha viaggiato in questa Calabria bianca e nera. Prima fermata è stata la Locride. È il primo capitolo del libro: la storia del consorzio Goel, le aziende agricole dei giovani tornati giù, la semina e l’eredità del vescovo Giancarlo Bregantini, il Musaba – fondato da uno dei più grandi artisti d’Europa, Nick Spatari – che forse è il parco d’arte più interessante del Mediterraneo.
Poi l’autore passa per Lamezia, e poi ancora per Reggio Calabria, sua città d’origine che vive tra luci e ombre, sprazzi di genio e eterno non finito, come il grande Tribunale. Trova un punto nella mappa della Calabria Smorto, poi si ferma e spiega un tema. Arrivare a Cariati gli serve per parlare della pagina disonesta della salute non garantita ai calabresi: ospedali chiusi, servizi tagliati, “ingrasso” della sanità privata, corruzione, intrallazzi; la gente muore, e lo Stato manda commissari improbabili, mentre ci sarebbero calabresi esperti che potrebbero sanare la “vergogna” della sanità malata, come Rubens Curia, portavoce di “Comunità competente” che da volontario, con don Panizza, sta – spesso non gradito – senza titolo, se non la passione e l’amore per la Calabria, al capezzale della salute morente. Di queste cose non scrivono i giornali e le televisioni, non ne parlano se non per fare show tra nani e ballerine dalla chiacchiera facile.
Poi, c’è il pregiudizio. Smorto riporta uno scritto di Antonio Padellaro – un ex direttore caduto dal pero – che solo dopo aver letto il libro (e scritto la prefazione) dell’ex sindaco di Lamezia Gianni Speranza, si converte: «Confesso che qualche pregiudizio nei confronti dei calabresi lo nutrivo: mi apparivano abitanti di un mondo lontano, inospitale, indecifrabile, da cui tenersi prudentemente a distanza. Poi ho conosciuto Gianni…». E menomale che l’ha conosciuto Speranza, chiosa Smorto. È questo il livello di competenza e capacità di “lettura” del giornalismo italiano (almeno di buona parte) di destra e di sinistra, o dei presunti indipendenti. Come tutti quelli che sono vissuti fuori e si sono sentiti dire “non sembri un calabrese” Smorto si toglie qualche sassolino dalla scarpa. In realtà ognuno di noi che ha lavorato fuori ha macigni nella scarpa da togliersi. Ne abbiamo sentite di stupidaggini sul conto della Calabria e dei calabresi. Ma non vale la pena perderci tempo, e non l’ha fatto neanche Smorto nel libro, se non elegantemente, con garbo, con educazione, con ironia; tanto che mi scappa da dirgli: «non sembri calabrese Smorto». È al capitolo decimo che l’autore tira fuori l’orgoglio del figlio di Calabria, nel capitolo intitolato “Fermata alla stazione Campus”, in cui racconta l’eccellenza dell’Università della Calabria di Arcavacata, un ateneo progettato da Vittorio Gregotti che regala – insieme alla Magna Grecia di Catanzaro e la Mediterranea di Reggio – scienziati e studiosi al mondo, come il fisico Francesco Valentini all’Agenzia Spaziale Europea, Livio De Luca l’architetto della ricostruzione di Notre Dame a Parigi, o Luigi Camporota, il medico che ha curato dal Covid e salvato Boris Johnson, il premier britannico.
Non sono che pochissimi nomi delle decine o centinaia, che si potrebbero citare. Storia dopo storia “A Sud del Sud” va oltre i numeri, le statistiche e le cronache frutto, spesso, di pregiudizio duro a morire, e rivela pagine sconosciute di Calabria; mostra che ci può essere un futuro per questa regione e dice che molto dipende dai calabresi. Fa capire che molto di più dipende dallo Stato che deve decidere se esserci o no, in un pezzo d’Italia erede della civiltà classica, di un’umanità che ha viaggiato nel mondo, portando braccia e cervelli per aiutare lo sviluppo degli altri, e non è solo la casa madre della ndrangheta che comunque c’è, ed è la causa di tutti i mali, di ieri e di oggi.
*giornalista

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