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Le dimissioni del vescovo Renzo (che voleva rimandare) e la fretta di accettarle della Santa Sede

Il racconto del monsignore sul suo “prepensionamento”. Dal sospetto di «lettere anonime pesanti» al “no” di Roma ad attendere i 50 anni di sacerdozio

Pubblicato il: 02/07/2021 – 7:10
di Alessia Truzzolillo
Le dimissioni del vescovo Renzo (che voleva rimandare) e la fretta di accettarle della Santa Sede

MILETO «Devo dare atto che da oggi non sono più il vescovo di Mileto». Il tam tam correva su diverse testate on line quando un gruppo di sacerdoti ha chiesto, nel corso di un incontro, se la notizia delle dimissioni di Luigi Renzo da vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea fosse vera.
Le ragioni? Per tanti motivi «ma soprattutto per le mie condizioni di salute – ha risposto monsignor Luigi Renzo – vi state rendendo conto di come in questi ultimi tempi riesco a muovermi con molta più difficoltà». Ma a parte una sorta di protesi che «tiene in piedi» il vescovo le ragioni delle sue anticipate dimissioni sono anche altre e Renzo non tarda a tirarle fuori.
«Certo – dice il presule – poi nel contorno c’è qualche altro motivo che non sono riuscito a percepire dalla bocca del cardinale Ouellet (Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, ndr). È molto difficile capire e altrettanto difficile dialogare e farsi ascoltare».
I sospetti del vescovo Luigi Renzo ruotano intorno a «qualche lettera anonima pesante che ha infastidito, come hanno infastidito magari certi miei punti di vista, modi di fare e che hanno portato a questo».
Insomma, motivi di salute ma non solo. Perché lo stesso vescovo Luigi Renzo ammette: «… io volevo rimandare a dopo questa eventualità di presentare in anticipo le dimissioni e la rinuncia all’ufficio di vescovo». Ma a quanto pare l’aria che tirava non era delle migliori.
«Ho capito che uno dei motivi per cui non rispondono – ipotizza Renzo – alla causa di don Mottola (causa di beatificazione di don Francesco Mottola, ndr) sembra essere proprio questo e allora ho voluto tagliare la testa al toro», ha detto il vescovo.
Monsignor Renzo racconta di avere presentato le dimissioni qualche giorno fa e di avere ottenuto «una risposta immediata, dalla sera alla mattina», e subito è stato nominato come amministratore apostolico – nella sede considerata vacante già con l’accettazione della rinuncia di Renzo – monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace.
L’immediatezza con la quale l’apparato della Santa Sede ha accolto il pensionamento anticipato di Luigi Renzo ha colto di sorpresa lo stesso vescovo. Tra l’altro nella lettera scritta al Papa Luigi Renzo fa riferimento ai festeggiamenti previsti in diocesi per il 50esimo anno di sacerdozio del vescovo. La data è il 12 agosto. «Chiedevo di soprassedere per il momento e  di rendere esecutiva la mia richiesta dalla fine di agosto». Niente da fare. La mail dalla pare del Nunzio apostolico è arrivata mercoledì, a stretto giro di posta. La sede è divenuta immediatamente vacante ed immediata è andata la scelta come amministratore apostolico su Francesco Oliva.

Il processo al segretario del vescovo per estorsione aggravata e altri problemi della diocesi

Con le dimissioni di Luigi Renzo perde il posto di segretario particolare del vescovo anche Graziano Maccarrone. Maccarrone, che ha mantenuto fino all’ultimo giorno il proprio ruolo, è stato rinviato a giudizio insieme a don Nicola De Luca, ex reggente della chiesa della Madonna del Rosario di Tropea, con l’accusa di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Il processo è in corso davanti al Tribunale di Vibo Valentia, presidente Tiziana Macrì. La vicenda è incentrata su alcuni prestiti che Maccarrone e De Luca avrebbero accordato a Roberto Mazzocca per evitare l’espropriazione dei beni pignorati alla figlia Francesca a causa di un debito contratto con una terza persona. La vicenda degenera – stando all’accusa – quando il segretario particolare del vescovo di Mileto aveva iniziato a inviare messaggi a sfondo sessuale a un’altra figlia del debitore, Danila, una giovane affetta da epilessia parziale in trattamento, con crisi plurisettimanali e dichiarata invalida al 100%. Tramite conoscenti don Maccarone si sarebbe fatto mandare anche indumenti intimi (cosa che la giovane acconsentiva a fare) e l’avrebbe invitata anche ad avere un incontro in un albergo di Pizzo Calabro. Incontro che tuttavia non ha mai avuto luogo. Contro ogni precedente accordo i due sacerdoti avrebbero preteso l’immediata restituzione delle somme di denaro prestate. E don Maccarrone avrebbe vantato parentele con i Mancuso, la cosca di Limbadi: «Il cugino mio… Luigi è quello che è uscito adesso a luglio il capo dei capi».
Nel corso di un incontro tra i due sacerdoti e la vittima, a febbraio 2013, don Maccarone mette subito avanti la carta della sua parentela con i Mancuso, dicendo che i soldi che aveva prestato gli erano stati consegnati «dai cugini di Nicotera Marina… non vi dico il cognome… già lo avete capito… sono cugini miei».
Ebbene, quando venne fuori l’indagine, nel 2019, la Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea si schierò, con un comunicato, in difesa dei due sacerdoti tanto da suscitare la reazione del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Non solo. Non marginale è il problema della fondazione Natuzza, il cui stallo sullo statuto non è stato superato. Problemi e imbarazzi di una diocesi che sono ora nelle mani di monsignor Francesco Oliva. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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