CATANZARO In Calabria il 20% degli “agglomerati” è sotto infrazione comunitaria, e due terzi della popolazione calabrese serviti da impianti non è più al passo con i tempi. Tra le tante emergenze che assillano la nostra regione la depurazione è una delle meno conosciute ma forse una delle più gravi. Lo dimostrano anche gli ultimi dati confluiti nell’ultima relazione della Banca d’Italia sull’economia della Calabria, relazione che mette a fuoco le criticità complessive del segmento idrico con particolare accentuazione sulla depurazione.
Secondo quanto scrive Bankitalia «a conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse idriche rappresenta uno degli obiettivi individuati dalla Ue per valutare la sostenibilità ambientale delle attività economiche1. Sistemi di distribuzione dell’acqua e di gestione dei reflui efficienti possono contribuire in maniera significativa a mantenere un ambiente salubre, nonché a evitarne la contaminazione e mitigare i cambiamenti climatici. In tale ambito, la Calabria si caratterizza per la presenza di criticità nei processi di depurazione dell’acqua con conseguenti effetti sulla qualità della stessa. Dai dati regionali relativi alle infrastrutture idriche del Censimento delle acque per uso civile condotto periodicamente dall’Istat a livello comunale emerge come nel 2018 (ultimo dato disponibile) la rete idrica calabrese disperdeva circa il 45 per cento dell’acqua immessa nella rete di distribuzione, tre punti al di sopra della media del Paese».
Nel report la Banca d’Italia evidenzia che «il 5,4 per cento della popolazione risiedeva in comuni privi del servizio di depurazione, un dato pari al doppio di quello medio nazionale. La quota di popolazione servita da impianti di depurazione con caratteristiche più avanzate era un terzo, a fronte della metà nel Mezzogiorno e del 67 per cento a livello nazionale. Le carenze infrastrutturali relative al segmento fognario-depurativo influiscono anche sull’attivazione di procedure di infrazione comunitaria riguardanti la conformità dei sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue previste dalla direttiva europea in materia. Secondo i dati del Ministero dell’Ambiente, a maggio del 2020 in Calabria si concentrava il 20 per cento degli “agglomerati” italiani interessati da tali procedure».
Per Bankitalia «ulteriori informazioni sulla qualità delle infrastrutture idriche sono disponibili dall’Indagine multiscopo dell’Istat, che rileva i giudizi dell’utenza sulla continuità del servizio, la pressione dell’acqua e la sua qualità. Gli utenti calabresi mostrano un livello di soddisfazione al di sotto della media italiana e del Mezzogiorno per i tre aspetti presi in considerazione, con uno scostamento più marcato relativo alla continuità del servizio (solo il 55 per cento della popolazione si ritiene soddisfatta contro il 79 per cento in Italia). Lo scenario delineato – sostieni Bankitalia – è presumibilmente dovuto anche alla cronica carenza di investimenti in infrastrutture idriche, solo recentemente affrontata dal regolatore (Arera). Gli investimenti sono principalmente effettuati dai gestori del servizio che in Calabria è affidato a soggetti pubblici (enti territoriali e società con capitale prevalentemente pubblico). Utilizzando le informazioni presenti nella base dati Cerved e nell’anagrafe Arera degli operatori del settore per le società di capitali, e quelle presenti nel Siope per gli enti locali, emerge come nel periodo 2011-2019 gli investimenti pro capite in Calabria siano stati pari in media a 19,9 euro, notevolmente inferiori alla media italiana (41,4) e a quella del Mezzogiorno (32,5)».
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