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l’intervista

Capomolla: «La sentenza del Tar è la prova che noi eravamo nella correttezza normativa»

Il direttore del Sant’Anna: «Il problema della Calabria è la mancanza di una governance capace di dare appropriatezza ai percorsi sanitari»

Pubblicato il: 05/07/2021 – 17:56
di Gianmarco Cimino
Capomolla: «La sentenza del Tar è la prova che noi eravamo nella correttezza normativa»

CATANZARO Il 3 luglio il Tar Calabria ha annullato le “comunicazioni-provvedimento” attraverso cui l’Asp di Catanzaro aveva disposto il «divieto di erogare prestazioni con oneri a carico del Servizio sanitario regionale». Per il giudice amministrativo, infatti, è «inammissibile il ricorso nei confronti della Regione e del commissario alla sanità» accogliendolo nella parte in cui si chiedeva l’annullamento degli atti impugnati. Per l’effetto ha condannato «l’Asp di Catanzaro a rifondere la parte ricorrente delle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo». Si è chiusa così una pagina lunga 7 mesi nel corso dei quali la struttura non ha potuto svolgere l’attività a favore del Servizio sanitario regionale, mettendo a rischio anche la tenuta occupazionale del Sant’Anna Hospital, diretto da Soccorso Capomolla.

L’intervista

Dott. Capomolla andiamo per ordine. Cerchiamo di far una disamina in merito al caso Sant’Anna alla luce dell’ultima sentenza del Tar Calabria del 3 luglio. Spieghiamo a che punto siamo?
«Abbiamo cercato di affermare la certezza del diritto e sotto questo aspetto l’ultima sentenza del Tar è la prova provata che noi eravamo nella correttezza normativa. La sentenza sostanzialmente ha detto che l’azione intrapresa dall’Asp il 23 dicembre 2020 di sospensione dei ricoveri è stata erronea e ha determinato un grave danno su due livelli: in primis nel blocco delle attività di ricovero con una lesione del diritto alla salute dei cittadini; in seconda battuta il blocco ha determinato un’interruzione contrattuale che ci ha fatto perdere 6 mesi di attività. Questo sottolinea la nostra linearità e correttezza di comportamento nella presentazione dell’istanza di accreditamento nel 2015. Il mancato rinnovo è stato dovuto ad una negligenza amministrativa ma non ad una nostra responsabilità. Noi siamo stati corretti nei tempi, questa inerzia amministrativa è stata acclarata da un nostro accesso agli atti sia verso la Regione sia nei confronti dell’Asp. Le dico di più: la Regione in ottobre 2016 e in febbraio 2017 aveva sollecitato l’Asp ad attivare la commissione per la verifica dei requisiti. Quindi paradossalmente l’Asp che ha inibito l’attività è la principale responsabile del blocco sulle istanze di rinnovamento».
Cosa ha comportato, in termini di numeri, questa impasse?
«Il blocco delle attività ha comportato un grosso danno ai pazienti, centro del nostro lavoro, perché oltre 300 pazienti sono stati operati fuori regione. Tradotto in numeri: 8 milioni di euro di mobilità passiva indotta da questo comportamento dell’Asp e nello stesso tempo un blocco aziendale pari a 13 milioni di euro di attività, nei 7 mesi di stop. Ricordiamo che la nostra struttura, in tempi di pandemia, è stata l’unica struttura sanitaria a ricorrere alla cassa integrazione per il mantenimento salariare dei nostri dipendenti».
Andiamo al nocciolo. Cosa evidenzia nel merito questa vicenda al netto della retorica?
«In questo ci viene in soccorso la sentenza del 3 luglio che ha evidenziato tre gravi carenze: competenze del management, competenze relazionali e relazioni istituzionali. Sono tre livelli che sono mancati e hanno procurato questo danno. Mi spiego meglio. Sulle competenze manageriali vi è stata una triade commissariale che risponde ad una commissione d’appoggio del ministero degli Interni e al signor Prefetto di questa città, aggiungiamo a questo un direttore amministrativo e un direttore sanitario aziendale. Quindi un management forte e articolato che però ha determinato una gestione grezza e superficiale nella misura in cui ha inibito il diritto alla salute, non ha ottemperato al DCA 49 (se non dopo 3 mesi di battaglia), ha disatteso il DCA 24 del 2021 che fornisce i compiti alla commissione prefettizia (commissione prefettizia bocciata per ben due volte sui bilanci di esercizio conclusi). Tutto questo implicava che entrasse in gioco la competenza relazionale. Io mi sarei aspettato da parte del Prefetto e della commissione di appoggio una diffida da compiere alla triade commissariale, cosa che invece non c’è stata.
E ancora la Triade che prende fondi destinati all’ospedalità privata-convenzionata e li offre ad ospedali pagati per funzioni e non per prestazioni, significa surrogare a compiti della Regione e non dell’Asp. Aggiungo un altro grave danno è stato determinato dalla definizione delle griglie del nostro budget – noi abbiamo firmato i contratti perché siamo stati presi un po’ alla gola, noi dovevamo iniziare a lavorare e quindi non abbiamo proferito alcuna contrarietà alla griglia offerta – da cui è venuto fuori che sono stati tagliati 3 milioni di euro sulle prestazioni. Questo ha determinato che il cittadino, fuori dalla provincia di Catanzaro, che non ha un’offerta non potendo rivolgersi a noi deve recarsi fuori regione alimentando la mobilità passiva. L’altro aspetto è il taglio di prestazioni che hanno una minore offerta vedi la chirurgia vascolare».
Ci spiega meglio il rapporto tra la struttura e le figure istituzionali?
«In sette lunghi mesi di vertenza non siamo mai stati ricevuti dal prefetto se non una volta per un colloquio durato dieci minuti nel quale ci comunicava che la data del 31 marzo 2021 non è una data perentoria. Per me il Dca è legge regionale e la data ha un carattere perentorio, ordinatorio e sanzionatorio. Al di là di questa interlocuzione non c’è stato nessun tavolo tecnico».
La politica che ruolo ha giocato?
«La politica, qui in Calabria, ha basso peso nella deputazione regionale e nazionale. Anche se per onestà intellettuale bisogna dire che il consiglio regionale e il Presidente f.f. Spirlì ha cercato un’interlocuzione diretta con il ministero degli Interni senza tuttavia sortire effetti».
Lei pensa che ci sia stato un disegno strategico di destrutturazione del Sant’Anna Hospital per agevolare appetiti esterni?
«Guardi non ho elementi certi per affermare questo. Le posso dire l’idea che mi sono fatto. È stata generata una crisi da incompetenze professionali e su questa crisi si sono innestati faccendieri e uomini dei colletti bianchi che evidentemente volevano intaccare questo patrimonio scientifico e culturale».
Ultima considerazione. Nel post pandemia lo scontro, nell’opinione pubblica, tra sanità privata e sanità pubblica ha alimentato un dibattito vivace. Cosa ne pensa?
«Il discorso pubblico-privato è previsto dalla legge 502; un’integrazione, una complementarità normata dalla legge. Per quanto riguarda la Calabria ritengo sia un falso problema. La Regione Calabria nel comparto sanitario destina un budget di circa 3,4 miliardi di euro per il sistema sanitario di cui, noi come sanità privata, intacchiamo circa 184 milioni di euro. Parlando in termini percentuali si tratta di un 5,08 % alla ospedalizzazione privata che diventa irrilevante nel complesso del peso di spesa.
C’è da dire un altro dato, invece, importante che viene dall’analisi dei dati calabresi. È vero che noi abbiamo 300 milioni di mobilità (che vale il 10 % del budget complessivo), ma è altrettanto vero che il 23 % viene speso in inefficienza. Quantificato ci indica come ogni anno perdiamo 700 milioni di euro inefficienza gestionale a tutti i livelli. Credo che il problema della Calabria non sia solo la mobilità passiva, ma la mancanza di una governance capace di dare appropriatezza ai percorsi sanitari. Le dico un altro aspetto. In Calabria abbiamo una mobilità di confine di 52 milioni di euro (pazienti che, ad esempio, da Reggio si recano a Messina o da Castrovillari in Campania). I casi che vanno via hanno un peso meno di uno quindi sono situazioni, quasi, ambulatoriali di bassa complessità. Vanno via per mancanza di organizzazione, questo è il vero dramma non l’ospedalizzazione privata. Se lei considera, il Sant’Anna, a parità di complessità spende il 25% in meno di risorse rispetto al pubblico».

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