COSENZA Prosegue dinanzi al Tribunale di Cosenza, il processo con rito ordinario per gli imputati coinvolti nell’inchiesta denominata “Bianco e Nero”: Massimo Greco, Giovanni Abruzzese, Francesco Tundis, Francesco Patitucci, Mario Piromallo, Maurizio Rango, Giuseppe Bartucci, Roberto Iorio, Antonio Fusinato, Leonardo Bevilacqua e Riccardo Garofalo. Al centro dell’inchiesta il tentato omicidio di Giuseppe De Rose, datato 2005 e consumato nella città dei bruzi. De Rose, affiliato al clan Perna, sarebbe finito nel mirino perché ritenuto partecipe dell’omicidio di Francesco Bruni jr, figlio del boss “Bella-Bella”, avvenuto a Celico l’8 novembre del 1991.
Nel corso dell’odierna udienza svolta al Tribunale di Cosenza è stato conferito l’incarico di trascrizione delle intercettazioni al perito e successivamente sono stati ascoltati, in qualità di testimoni, gli uomini della Polizia di Cosenza incaricati delle indagini all’epoca dei fatti. E’ toccato all’ex commissario della squadra mobile di Cosenza, Gianfranco Gentile, tornare indietro con la memoria. L’agguato si consumò nei pressi della Villa Nuova a Cosenza: due soggetti si avvicinarono a De Rose e fecero fuoco, ferendolo. «Giunti sul posto – racconta l’ex commissario – trovammo un cappellino e un vetro infranto, qualche minuto dopo una chiamata ci informò del ritrovamento di un giubbotto insanguinato nei pressi di viale Trieste». Fu lo stesso De Rose, oltre ad alcuni testimoni e successivamente alle dichiarazioni dei pentiti a ricostruire la dinamica dell’accaduto. Una pallottola sparata da una pistola a tamburo lo raggiunse ad una spalla, la vittima dell’agguato si mise a correre fino a raggiungere viale Trieste. «Nei pressi di una banca di consumò la colluttazione con il suo aguzzino: De Rose riuscì a strappargli dalle mani un revolver facendo fuoco sul rivale». Nonostante la ferita, De Rose – fucile in mano – riuscirà a raggiungere l’ospedale cittadino «dopo aver chiesto un passaggio ad uno sconosciuto» ed essere «fermato dalla guardia a presidio del nosocomio bruzio che gli requisì l’arma». Nel corso delle indagini, un testimone avrà modo di rendere edotti gli investigatori della presenza nei pressi della Villa Nuova, al momento dell’agguato, di un’auto sportiva (Alfa Romeo Gt). «Dai riscontri effettuati – racconta l’ex commissario – riuscimmo a risalire all’identità del proprietario della vettura, risultata rubata». La macchina «fu ritrovata completamente bruciata in località Potame», nel comune di Domanico.
Del tentato omicidio sono considerati colpevoli, quali esecutori, Daniele Lamanna (oggi collaboratore di giustizia) e Fabrizio Poddighe. «Daniele Lamanna si autoaccusò del delitto dopo aver avviato la collaborazione con la giustizia», ricorda Greco. Le dichiarazioni del pentito, insieme a quelle di altri collaboratori come Adolfo Foggetti, Luciano Impieri ed Edyta Kopaczynska (compagna di Michele Bruni alias “Bella Bella”) «saranno fondamentali per individuare tutti i soggetti coinvolti nel tentato omicidio».
Come emerso nel corso delle investigazioni, l’agguato organizzato per eliminare Giuseppe De Rose ha un unico movente: vendicare la morte di Francesco Bruni junior. Il 16enne, figlio di Francesco Bruni senior, fu ritrovato senza vita – strangolato con un fil di ferro – in un burrone sotto Montescuro. «De Rose fece da “specchietto” – racconta l’ex commissario – da esca per condurre il giovane in Sila, dove poi venne brutalmente ucciso». Quell’atroce delitto fu conseguenza di una vendetta trasversale contro il padre della vittima, ritenuto colpevole di aver ucciso Francesco Carelli, 33 anni, pregiudicato di spicco ritenuto affiliato al clan Pranno-Presta. Carelli, considerato all’epoca uno dei big della mala cosentina, avrebbe insistentemente infastidito con una corte spietata una delle figlie di Francesco Bruni senior. Il membro del clan “Bella Bella” all’ennesimo tentativo di Carelli, decise di rispondere con la forza: prese in mano la pistola e sparò contro il 33enne due colpi in rapida successione. Lo stesso Bruni, a distanza di poche ore dal delitto, si costituì in questura.
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