COSENZA E’ Celestino Abruzzese meglio conosciuto come “Micetto” il testimone sentito nell’ambito del processo in corso dinanzi al Tribunale di Cosenza, scaturito dall’indagine denominata “Testa del serpente” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Nell’inchiesta che riguarda il gruppo degli “Italiani” e quelli degli “Zingari”, le rivelazioni dei collaboratori di giustizia hanno messo al centro l’omicidio di Luca Bruni, fratello di Michele (scomparso prematuramente) designato come capo dell’omonima famiglia e fatto fuori perché si ritenesse potesse iniziare a collaborare con la giustizia e prendere in mano il controllo dei business di famiglia. Oltre all’ultimo delitto eccellente di ‘ndrangheta nel territorio cosentino ci sono anche le lesioni causate dalla gambizzazione di Marco Abbruzzese, nel pieno centro storico di Cosenza. Il reato viene configurato dagli investigatori in un regolamento di conti per questioni di affari illeciti relativi allo spaccio di sostanza stupefacente nel centro storico di Cosenza. Un cospicuo numeri di capi di imputazione riguardano invece gli episodi di estorsione, usura, detenzioni di armi e spaccio di sostanza stupefacente. A giudizio: Antonio Abbruzzese, Franco Abbruzzese, Luigi Abbruzzese, Marco Abbruzzese, Nicola Abbruzzese, Claudio Alushi, Adamo Attento, Antonio Bevilacqua, Francesco Casella, Giovanni Drago, Pasquale Germano, Andrea Greco, Domenico Iaccino, Antonio Marotta e Alberto Turboli.
In fase preliminare, il pm ha prodotto l’elenco delle intercettazioni la cui trascrizione è stata affidata al perito. Il pubblico ministero poi ha iniziato l’esame del teste partendo dal ruolo di Celestino Abbruzzese all’interno del gruppo meglio conosciuto come “Banana”, di faceva parte insieme a Luigi Abbruzzese detto “Pikachu”; Marco Abbruzzese detto “Lo Struzzo” e Nicola Abbruzzese detto “Il paccio”. Il sodalizio era soprattutto dedito allo spaccio di droga nel centro storico della città. Come ha avuto modo di asserire nel corso di una deposizione nel processo sulla morte di Luca Bruni, il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti definirà i “Banana” «i numeri uno nello spaccio di eroina». Ma il gruppo – come conferma “Micetto” – era impegnato a spacciare anche cocaina e poi nella commistione di altri reati come usura e estorsioni. «Per il mercato della droga – dice Celestino Abbruzzese – avevano un accordo con il gruppo degli “Italiani” formato da Roberto Porcaro, Francesco Patitucci e Mario Piromallo. La vendita dell’eroina era esclusiva dei “Banana”, mentre gli altri tipi di droga potevano essere smerciati dagli “Italiani” che rifornivano di cocaina me ed i miei fratelli». «La droga – aggiunge – veniva pagata in parte in anticipo a Porcaro e soci e in parte quando avevamo venduto tutta la sostanza». «I rapporti tra di noi erano ottimi» – precisa il pentito, ma dopo la decisione di collaborare con la giustizia le cose cambieranno. «Mio figlio oggi 17enne non mi parla più, i miei fratelli sono venuti a trovarmi in carcere per cercare di farmi ritrattare promettendomi 100 mila euro, ma io non volevo soldi ma solo cambiare vita».
Mentre sulla droga c’era un tacito e condiviso accordo tra i due gruppi rivali, sulle estorsioni si operava addirittura insieme. «Giravamo con gli “Italiani” e il profitto si divideva al 50%». Il pm chiede a Celestino Abbruzzese di approfondire il tema del racket estorsivo citando alcuni episodi specifici. Il pentito riavvolge il nastro e richiama l’estorsione compiuta ai danni di un gommista di via Panebianco proprietario anche di una pizzeria. Abbruzzese chiama in causa «il cugino» Adamo Attento che lavorava insieme alla compagna proprio nella pizzeria della vittima di estorsione. Dopo la chiusura del locale, il proprietario – racconta “Micetto” – «non ha pagato i dipendenti e con la famiglia Attento aveva un debito di 20 mila euro». Un credito che andava riscosso e di cui si sarebbero «occupati direttamente i fratelli di Celestino insieme a Roberto Porcaro». «Hanno fatto l’estorsione di circa 3 mila euro da pagare in tre rate – sottolinea il pentito – e in più hanno chiesto i 20 mila euro dovuti». Del fatto, Celestino però non verrà avvisato e sia lui che il «cugino» Adamo Attento non vedranno mai un euro. L’episodio avrebbe contribuito a rendere precari gli equilibri tra le fazioni, a tal punto che «Porcaro mi chiese di tenere lontano mio cugino dai suoi affari». A cercare di sistemare le cose ci pensò il fratello di Celestino, Luigi che nel 2017 «mi consegnò 350 euro, provento dell’estorsione ai danni del gommista, dicendo di chiudere la storia perché ormai non c’era nulla da chiarire». Un’altra estorsione i fratelli “Banana” la compiranno ai danni di A.T., «amico fraterno» di Celestino con cui condivideva «la passione per gli impianti hi-fi delle auto». Non solo. La vittima di estorsione, un autista, e “Micetto” erano anche soci con quest’ultimo che aveva deciso di acquisire una quota della società intestata alla moglie del suo compare. A.T. non aveva rapporti con gli altri fratelli Abbruzzese, anzi. I “Banana”, sempre senza avvisare Celestino (all’epoca dei fatti recluso), avrebbero consumato «un’estorsione ai danni di A.T.» al quale sarebbero riusciti a spillare «3mila euro». «E’ stato picchiato da mio fratello – racconta “Micetto” – e gli hanno chiesto anche altri 20mila euro». Ad A.T. sarebbero state rivolte anche pesanti minacce da parte di uno dei membri del gruppo “Banana”: «devi ringraziare che non ti uccido e ti butto in un fiume». Quanto accaduto, secondo Celestino Abbruzzese sarebbe stato frutto di «una ritorsione dei miei fratelli a seguito della decisione di collaborare con la giustizia e cambiare vita». I soldi A.T. alla fine li consegnerà «nelle mani di Adamo Attento, una parte in contanti e l’altra in assegni».
Il collaboratore parla per ore e chiamato in causa dal pm racconta i macabri dettagli di altri episodi legati alla vita del gruppo criminale. In una occasione, i “Banana” arriveranno addirittura a gambizzare uno spacciatore «perché contrabbandava a Piazza Valdesi la roba per conto suo rifornendosi da un’altra famiglia». A sparare al pusher sarebbe stato «Nicola Abbruzzese a bordo di una moto R1 con una pistola calibro 9». «La moto – continua il pentito – poi è stata bruciata a Rose». Un’altra sparatoria si verificherà sempre per questioni legate alla droga. Questa volta ad essere gambizzato sarà un cugino degli Abbruzzese «che spacciava con l’aiuto di Porcaro e Maurizio Rango ed è arrivato anche a minacciare me ed i miei fratelli». Uno sgarro inaccettabile per i “Banana” che risponderanno con il fuoco. «Mio fratello Marco – racconta Abbruzzese – aveva comprato da poco una calibro 9 e con quella pistola sparò nostro cugino».
Il gruppo dei “Banana” aveva nella disponibilità droga ma anche armi. «Avevamo molte pistole poi trovate dalla polizia – dice Celestino Abbruzzese – erano nascoste all’ultimo lotto di Via Popilia». Sul luogo, il pentito fornisce ulteriori dettagli: «erano in buco in un muro di un palazzo, coperto da un bidone o da un camion di mia proprietà». Il posto era presidiato dai familiari dei “Banana”, ma come sottolinea Abbruzzese – sollecitato dalle domande degli avvocati difensori – «era visibile a tutti quelli che passavano dal palazzo».
Tocca agli avvocati Francesco Boccia, Antonio Quintieri, Cristian Cristiano, Filippo Cinnante, Giorgia Greco, Paolo Pisani, Cesare Badolato e Gaetano Bernaudo, procedere al controesame del collaboratore. L’avvocato Quintieri chiede conto del coinvolgimento diretto nello spaccio di droga, “Micetto” risponde alle domande e poi tira in ballo Antonio Marotta detto “Capiceddra”: «Comprava eroina dai miei fratelli». Per quanto riguarda Andrea Greco, Celestino Abbruzzese risponde alle sollecitazioni degli avvocati e lo inquadra come fornitore di cocaina dello stesso pentito «quando avevo finito la riserva». L’avvocato Bozzarello, difensore di Adamo Attento, chiede lumi sui rapporti tra i due. «Avevo provato a farlo collaborare – dice Abbruzzese – per me era un fratello». Dopo l’arresto e la successiva decisione di collaborare, Abbruzzese subirà – a suo dire – un tradimento da parte di Attento che «chiederà le chiavi di casa mia a mia figlia per poi svaligiarla e portare via tutto l’oro».
Prima che il giudice annunciasse la chiusura dell’udienza, si è verificato un episodio che ha coinvolto Celestino Abbruzzese. Un suono proveniente dal cellullare del collaboratore ha spinto la polizia penitenziaria ad informare il giudice Ciarcia della possibilità che lo stesso avesse scattato una fotografia. Sull’episodio è intervenuto il pm che ha richiesto ulteriori verifiche, mentre il legale Simona Celebre – avvocato di Celestino Abbruzzese – ha tranquillizzato tutti riconducendo il suono all’arrivo di un sms sul telefono personale del pentito.
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