Ultimo aggiornamento alle 19:39
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 8 minuti
Cambia colore:
 

i verbali

Caso Valea, i giudici: «Ci bypassava, scoprivamo tutto su Google»

Tutte le accuse al magistrato sospeso per un anno: sette contestazioni di falso ideologico. Il gip: «Gravi indizi di colpevolezza per sei casi»

Pubblicato il: 13/07/2021 – 20:49
di Alessia Truzzolillo
Caso Valea, i giudici: «Ci bypassava, scoprivamo tutto su Google»

SALERNO Per sette volte, secondo le indagini condotte dalla Procura di Salerno, il giudice Giuseppe Valea – già presidente della seconda sezione penale, Riesame e Misure di Prevenzione del Tribunale di Catanzaro, per il quale il Csm ha accolto di recente la domanda di trasferimento a Milano – avrebbe falsamente attestato l’avvenuto svolgimento della camera di consiglio, insieme ai membri del proprio collegio, quando in realtà avrebbe fatto tutto da solo depositando i provvedimenti, con le relative motivazioni, «senza la consultazione e la partecipazione degli altri due membri del collegio». Decisioni prese senza consultare il proprio collegio – anche se veniva falsamente attestato, con tanto di data, che la camera di consiglio c’era stata – che danno vita, secondo l’accusa, a sette casi di falso ideologico. Il gip di Salerno Maria Zambrano ha ritenuto, per sei casi, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e ha applicato a Valea «la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di magistrato ordinario per la durata di 12 mesi».

Sette false camere di consiglio

Nessuna camera di consiglio, nessuna consultazione, dunque, per la decisione presa nei riguardi di Enzo Messina (coinvolto nell’operazione “Stammer”) a marzo 2020. Stessa sorte per il provvedimento preso nei riguardi di Pasquale Malena (coinvolto nell’inchiesta “Stige” e condannato a 12 anni e 9 mesi lo scorso 26 febbraio) per il quale Valea avrebbe attestato falsamente di una camera di consiglio avvenuta il 15 maggio 2018 e ha depositato provvedimento e motivazioni il 28 maggio 2018 (ma il gip non rileva i gravi indizi su questo caso). Su un provvedimento riguardante Antonio Saraco e altri Valea avrebbe attestato falsamente l’avvenuto svolgimento della camera di consiglio, recante data 23 ottobre 2018, «circostanza non rispondente al vero – scrivono gli inquirenti – in quanto, quale presidente e relatore, depositava il provvedimento, con le relative motivazioni, in data 21dicembre 2020, senza la consultazione e la partecipazione degli altri due membri del collegio, dottori Gaia Sorrentino e Alfredo Ferraro» e, dunque, senza previo svolgimento della camera di consiglio. Sempre riguardo un provvedimento su Antonio Saraco e altri, a maggio 2021, Valea attestava lo svolgimento della camera di consiglio recante la data del 15 ottobre 2018. Anche in questo caso, secondo l’accusa, non vi sarebbe stata nessuna consultazione e partecipazione dei giudici Michele Cappai e Gaia Sorrentino perché il giudice Valea avrebbe depositato, in perfetta autonomia, il provvedimento e le motivazioni il 31 maggio scorso. Le indagini condotte dal Ros di Salerno si fermano a poco più di un mese fa. I carabinieri registrano casi di falso ideologico riguardo a provvedimenti a carico di Michele Iannelli, di Maurizio Tommaselli, e di Alessio Carmine Tundis, tutti e tre depositati nella stessa data: 29 marzo 2021, tutti e tre attestanti, secondo l’accusa, tre false camere di consiglio.

La “Genesi”

L’inchiesta “Genesi”, condotta dalla Procura di Salerno il 15 gennaio 2020 – dietro l’input di uno stralcio dell’inchiesta “Thomas” della Dda di Catanzaro – su un sistema corrotto che aveva impregnato la Corte d’Appello di Catanzaro e aveva portato all’arresto del giudice Marco Petrini, presidente della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello (in seguito condannato a 4 anni e mesi per varie ipotesi di corruzione in atti giudiziari), aveva suscitato forte scalpore mediatico. 
Viene coinvolto anche l’avvocato Francesco Saraco, accusato di avere elargito denaro e regali al giudice Petrini in cambio di una sentenza favorevole per il padre Antonio Saraco nell’ambito del processo d’Appello “Itaca Free Boat”. Saraco (condannato a un anno e 8 mesi) parla, dice che lui sì, ha cercato di corrompere in appello perché in primo grado si era andato a infrangere contro «un sistema» già corrotto. Fa il nome di Giuseppe Valea e parla di una istanza che «ancora pende, non ha deciso e sono passati due anni e mezzo», dice riferendosi all’appello del Tribunale del Riesame. I verbali di Saraco vengono fuori, qualcosa comincia a muoversi.

Scambio di relazioni e il silenzio di Valea

Il 21 gennaio 2021 il presidente del Tribunale di Catanzaro, Rodolfo Palermo, segnala alla Procura del capoluogo, guidata da Nicola Gratteri di aver ricevuto due giorni prima una relazione «a firma di Gaia Sorrentino e Alfredo Ferraro, magistrati in servizio presso il Tribunale di Catanzaro e all’epoca giudici presso la seconda sezione penale – Riesame e Misure di Prevenzione, presieduta da Giuseppe Valea». I due magistrati segnalano che riguardo al caso Saraco «non ricordavano lo svolgimento della camera di consiglio e che, in ogni caso non erano “stati tempestivamente messi a conoscenza dello sviluppo e della tempistica della motivatone adottata”». I giudici non avevano potuto non notare che il 21 dicembre 2020 (quasi un anno dopo l’operazione “Genesi”) era stata depositata la decisione «sull’appello in questione, che riguardava una complessa procedura, nella quale erano confluiti più ricorsi riuniti, presentati da più parti appellanti, tra cui il Procuratore Generale in sede, che aveva avuto considerevole risalto mediatico, in quanto alcuni dei destinatari del provvedimento impugnato (appartenenti alla famiglia Saraco) erano stati interessati dalla indagine denominata “Genesi”, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, che aveva portato agli arresti, tra gli altri, del giudice Petrini (magistrato all’epoca in servizio presso la Corte d’Appello di Catanzaro) e di Saraco Francesco (appellante nella richiamata procedura)».
Lo scambio di note prosegue: l’11 febbraio 2021 il presidente Palermo invia un’altra relazione «a firma dei medesimi magistrati (nel frattempo trasferiti ad altra sezione del medesimo Tribunale), i quali fornivano chiarimenti in ordine alle modalità di svolgimento della “camera di consiglio” ed alla prassi vigente nell’ufficio».
Il presidente del Tribunale, a questo punto, chiede lumi a Valea «in merito sia ai ritardi nel deposito dei provvedimenti sia ai criteri di assegnazione degli affari, essendo risultato che i provvedimenti redatti dal presidente di sezione erano sistematicamente molto più numerosi rispetto a quelli redatti dagli altri giudici della sezione».
Sentito dai magistrati di Salerno sarà lo stesso presidente Palermo a spiegare che «Il Valea non mi ha mai fornito risposta sul punto. […] Più in generale, devo dire che il Valea ha frequentemente reagito a situazioni di difficoltà in cui è venuto a trovarsi comunicando il suo intento di mettersi in pensione, cui per altro al momento non ha dato seguito».

Le scoperte fatte su Google

Parte l’inchiesta e i magistrati di Salerno, coordinati da Giuseppe Borrelli, cominciano a sentire i magistrati di Catanzaro che hanno lavorato con Giuseppe Valea. Il 29 gennaio scorso il giudice Ferraro racconta, riguardo al caso Saraco, di essersi accorto del deposito del provvedimento facendo una ricerca su Google. «In genere il presidente Valea, quando depositava un provvedimento, ci avvisava prima di aver assunto una determinazione, ce la sottoponeva, e se vi era accordo procedeva a detto deposito. Nel caso segnalato con la nota riservata indicata prima, era passato molto tempo fra la camera di consiglio e la data del deposito, quindi io non ricordavo detta procedura. Di tale deposito mi sono accorto in quanto è accaduto che controllo ogni tanto su Google le notizie che mi riguardano e digito nel motore di ricerca il mio nome. Quindi, ho avuto modo di rilevare la presenza della notizia che riportava della avvenuta pubblicazione del provvedimento del Tribunale del Riesame a firma del presidente Valea quale estensore e secondo detto articolo il collegio era composto anche da me e dalla collega Sorrentino. Poiché in Tribunale vi è una “cartella condivisa” dei sistemi informatici ove sono contenuti tutti i provvedimenti del Tribunale del Riesame ho verificato che effettivamente vi era tale provvedimento. Quindi ho chiamato la collega Sorrentino, era di sera, non volevo che si agitasse e le ho detto che le dovevo parlare il giorno dopo e quindi l’ho informata quando ci siamo visti». Dal canto suo il giudice Sorrentino, sempre riguardo al caso Saraco, si è mostrata allarmata «in quanto il deposito di un provvedimento dopo oltre due anni era un tempo anomalo e non ricordavamo tale camera di consiglio».

Bypassati dal presidente

«Io ho avuto il sospetto – racconta il giudice Simona Manna riferendosi al provvedimento preso su tale Lo Schiavo – che la decisione del provvedimento non fu portata in camera di consiglio da Valea perché voleva scarcerare l’indagato ed avendo il dubbio che io e l’altro componente del collegio non saremmo stati d’accordo, in questo modo ci ha bypassato. Quello esposto è solo un dubbio. Tuttavia, nel merito ritengo che la scarcerazione dell’indagato da parte del Valea fu una decisione azzardata e non condivisibile trattandosi di imputato gravato da gravi indizi e già condannato pesantemente in primo grado per quei fatti integranti reati gravi e che aveva dinanzi a se una prospettiva di lunga detenzione».
Il giudice Michele Cappai ricorda, invece, ricorda in merito alla vicenda Saraco «che verso giugno 2019, mentre ero in auto con il pm Buzzelli e il dottore Capomolla (procuratore aggiunto di Catanzaro, ndr) per andare ad una festa di compleanno di altri colleghi, tra cui la collega Sorrentino, parlando di lavoro, il dottore Capomolla non si spiegava il motivo di un tale ritardo nel depositare il provvedimento, nel procedimento a carico dei Saraco, appellato dalla Procura Generale. Poi di recente ho appreso dai colleghi Ferraro e Sorrentino che tale provvedimento era stato depositato a loro insaputa e, dunque, io pensai senza camera di consiglio. I colleghi erano molto risentiti». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x