Difficile tracciare una fenomenologia di Nino Spirlì, inteso come fenomeno umano, sociale e politico. Meglio iniziare con quello che non è Spirlì. Certamente non è un “guitto”, molti suoi avversari si ostinano a considerarlo così e sbagliano. Va anche detto che la trasfigurazione in “macchietta” operata da Crozza (Spirlì che sa di non sapere, Spirlì che offre la ricetta di pipi e patati, etc) piace al facente funzione. Da uomo di spettacolo, sa che la politica, diventata turbo, ha perso il senso del ridicolo e non conosce più i limiti della vergogna. E allora va bene tutto. Ma da qui a considerare le sue uscite da pessimo “Bagaglino”, come l’espressione di una comicità non voluta, non studiata anche nei suoi minimi dettagli, ce ne passa. È un errore strategico. Spirlì è un politico a tutto tondo. Un leghista vero. Un sincero ammiratore del fascismo. Calcola ogni sua parola, studia ogni performance. Quando a Catania sfodera lo spadone contro il politically correct e chiama “froci” i gay e negri, o nivuri, gli africani, non sta scivolando su una buccia di banana linguistica. Sta semplicemente parlando alle viscere più profonde della società. Ai calabresi del “rutto libero” (ce ne sono in ogni regione, da Nord a Sud), della risata grassa e sguaiata. Quando si presenta indossando rosari e scapolari, esibendo madonne e immagini di veggenti, lo fa perché vuole parlare alla parte più retriva del mondo cattolico. Quando aggredisce il giornalista del Corriere della Calabria, mostra fastidio alle insistenze del giovane collega, e poi sbotta con “non vi rispondo, mi attaccate ogni giorno”, parla a segmenti specifici della società calabrese. A quei centri di potere da sempre infastiditi dal giornalismo locale, ovviamente mi riferisco non ai cortigiani, ma ai giornalisti con la schiena d’acciaio. Spirlì sa che esiste nei ceti dominanti una parte che non tollera una “narrazione” libera della Calabria, preferendo narrazioni più dolci, addomesticate.
Ora, assodato che Spirlì non è una “macchietta”, cerchiamo di capire cos’è questo strano oggetto comparso sul teatro della politica calabrese. La risposta è: un navigato uomo di potere, capace di muovere tutte le leve della spesa pubblica. Spirlì rifiuta la candidatura, quindi il giudizio degli elettori, dicendo che non può fare campagna elettorale perché deve pensare alla Calabria. Nel contempo, però, si assicura, attraverso furbe e opache trattative tra Salvini e Forza Italia, il posto di numero due della Giunta regionale e di Assessore alla cultura. Nominato ancora una volta, con una prebenda sostanziosa, autista, stuolo di collaboratori e potere. Insomma, Spirlì agita madonne, ma allo stesso tempo si occupa dei vertici di Fincalabra. Fa la vittima (mi sono caricato addosso le guida della Regione in un momento drammatico) ma nello stesso tempo va lui direttamente a seguire il set destinato a “migliorare” il video promozionale di Muccino. Ora, come i calabresi, soprattutto chi lavora nel settore turistico, sanno, quel disgraziato spot non è stato ancora trasmesso da nessuna rete tv, ma questo non conta. I nostalgici del fascismo che fu, ritrovano nel gesto del facente funzione il Mussolini che si fa fotografare dietro una cinepresa a Cinecittà. Manca la battaglia del grano, ma verrà pure quella se dovesse servire. Quindi un consiglio: non sottovalutate il facente funzione. Un uomo scaltro, profondo conoscitore degli istinti peggiori della sua terra, un politico che disdegna il confronto con gli elettori e con chi non celebra i suoi fasti. Un intollerante. Questo dovrebbe preoccupare, altro che pipi e patati.
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