REGGIO CALABRIA «Dall’inchiesta emerge l’interesse della cosca per l’amministrazione comunale». Un interesse che si traduceva su più livelli, sviluppato da «soggetti ritenuti intranei, molto attenti a diversi aspetti della vita pubblica di Scilla».
Così il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, nel corso della conferenza stampa tenuta al comando provinciale dei carabinieri all’esito dell’inchiesta “Lampetra”.
La cosca “Nasone-Gaietti”, «a tutto tondo, organica alla ‘ndrangheta» svolgeva un controllo minuzioso sulle attività relative al settore dell’edilizia pubblica: «Monitoravano eventuali concessioni di spiagge o altro girando per il territorio del Comune. – aggiunge il procuratore – Verificavano se ci fossero lavori, dicendo “che poi ci pensiamo noi”» come emerge dalle intercettazioni confluite nell’inchiesta.
Quel “ci pensiamo noi” rappresentava la volontà di «imposizione del pizzo sulle attività di edilizia pubblica». Così facendo, consolidavano il potere acquisito grazie al «controllo dello spaccio nel territorio di Scilla, Villa e Bagnara Calabra. Carmelo Cimarosa (tra i principali indagati, ndr) si vantava del numero di acquirenti fidelizzati e di spacciatori che lavoravano per lui».
Oltre al controllo dello spaccio, «l’indagato Cimarosa era impegnato – ha aggiunto il procuratore Bombardieri – nella realizzazione di un suo progetto criminale: creare una ‘ndrina che si staccasse da quella dei Nasone-Gaietti».
Quello di Cimarosa, come lo definisce il procuratore Bombardieri, era dunque un «progetto autonomista».
«Prima o poi, diceva, loro andranno a finire e saremo noi giovani a prendere il posto» riferendosi alla ‘ndrina storicamente radicata sul territorio della porzione costiera reggina.
Ma nonostante queste mire, Cimarosa confidava nella figura dello zio, Angelo Carina, «che in più occasioni riprendeva il nipote dicendogli di non essere troppo violento nelle proprie attività perché avrebbe attirato l’attenzione delle autorità».
«Unendo i canali investigativi è stato possibile ricostruire il flusso completo dello stupefacente – in particolare la cocaina – da quando arriva al porto di Gioia Tauro fino a quando viene venduto sul territorio». Le indagini, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, sono state sviluppate dal comando provinciale dei carabinieri, rappresentato al tavolo da Pasquale Angelosanto e dalla compagnia di Villa San Giovanni. I militari spiegano inoltre come «la consorteria si fosse inoltre dotata di un’autonoma capacità produttiva di stupefacente», soprattutto di “marijuana” «dotandosi di loro piantagioni».
A curare la fornitura in dettaglio era Antonio Alvaro «che riconosceva al Carina un potere di intervento e si preoccupava, laddove ci fosse necessità, di mantenere i rapporti con soggetti delle altre zone, come appunto Villa San Giovanni o Sinopoli».
La fornitura veniva costantemente monitorata ed era organizzata in prevalenza «in piccoli quantitativi per consentire loro un sistematico rifornimento». Il punto di rottura, che ha permesso alle autorità di ricostruire il percorso dello stupefacente fino alla vendita in dettaglio si è avuto «dopo le fibrillazioni dai presunti affiliati a seguito di alcuni sequestri a Gioia Tauro». (f.d.)
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