REGGIO CALABRIA L’esistenza di un’«autonoma cosca di ‘ndrangheta» operante sul territorio di Scilla risale agli anni 80-90. Le vicende che ripercorrono le dinamiche relative alla nascita e all’evoluzione fino alla consacrazione dei “Nasone-Giaetti” sono oggi cristallizzate nella sentenza “Cyrano”.
«Fino al 1987 – dice quel processo – si riunirono attorno alla figura carismatica di Giuseppe Nasone numerose persone che ne condivisero la vita scellerata e gli prestarono manforte ogni qualvolta fosse necessario taglieggiare, intimidire, danneggiare». Dopo la morte del boss anziché disperdersi, la “famiglia” si è via via strutturata specializzandosi in taluni settori quali quello delle estorsioni e, soprattutto, del narcotraffico.
Con l’inchiesta “Lampetra”, che prende in prestito il nome di un pesce-parassita che si nutre di sangue, la Dda di Reggio Calabria cerca di ricostruire come nel tempo l’operatività della cosca si sia evoluta. Un numero crescente di relazioni con altre “famiglie” storiche della provincia hanno permesso ai presunti sodali di estendere la propria attività anche su territori vicini, come Villa San Giovanni e Bagnara Calabra. Passaggi che la procura guidata da Giovanni Bombardieri ha messo insieme ricostruendo le varie fasi della filiera della droga, dall’arrivo sulle coste calabresi fino allo spaccio al dettaglio. Non a caso, l’indagine che questo 15 luglio ha portato all’applicazione di 19 misure cautelari parte proprio dal sequestro di un modesto quantitativo (circa 200 grammi) di stupefacente.
A gestire le vendite della sostanza – soprattutto cocaina – a Scilla e territori limitrofi è Carmelo Cimarosa, classe 86, nipote di Virgilio Giuseppe Nasone – “vertice” riconosciuto tale proprio in “Cyrano” – e di Antonio Carina, classe 67, descritto dagli inquirenti come il «promotore e organizzatore» dell’associazione.
Scrive il gip, nell’applicare sia a Carina che a Cimarosa la misura restrittiva della custodia in carcere, «che tali indagati, oltre ad essere partecipi con funzioni apicali dell’associazione finalizzata al narcotraffico, sono espressione dell’ancor più allarmante consorteria mafiosa». Il giudice li definisce individui «dalla spiccatissima propensione al delitto» per di più ricorrendo spesso «alla violenza ed all’intimidazione come strumento di imposizione di regole criminali».
Come riportato nell’informativa di Pg, Cimarosa è operativo in entrambe le fasi: quella del traffico, compreso il commercio al dettaglio e quella dell’approvvigionamento.
«Io su per giù quante persone ho? Intorno ai quattrocento tra Scilla, Bagnara […] a tanti gliela faccio a sessanta euro al grammo» si vanta in una conversazione intercettata a marzo 2020.
Per “nutrire” questi clienti, il rampollo con mire “scissioniste” «oltre che smerciare personalmente, si avvaleva di diversi “pusher”, che con lui stabilmente operavano nell’ottica di una comune strategia associativa». Molti di questi lavorano in forma stabile per il clan, spesso “costretti” essi stessi dalla dipendenza, com’è il caso del classe 93 Antonino Cambarieri, che in uno dei diversi episodi documentati dai militari pretende da Cimarosa «il trattamento di favore riservato agli intranei»: «No, mi de vi dare quella buona!…inc…Io lavoro per te!»
All’altro capo della filiera ci sono invece i fornitori dell’associazione. Tra questi c’è “Mpari Ntoni”, ovvero Antonio Alvaro, classe 81 di Sinopoli. A lui si alterna Cosimo Cannizzaro, classe 88 di Sant’Eufemia d’Aspromonte definito dai presunti sodali il «fornitore abituale».
Loro sono due dei “grossisti” di fiducia di Cimarosa, tanto che, quando lo stupefacente scarseggia per via di un maxi-sequestro avvenuto al porto di Gioia Tauro, il presunto uomo dei “Nasone-Gaietti” fa di tutto per evitare di spostarsi da altri fornitori, «come quelli di San Luca» suggeritigli da Angelo Carina.
Il fatto risale a dicembre 2019 e coincide col periodo di inizio dell’odierna attività investigativa. La cosca entra in sofferenza dato l’impellente bisogno di reperire la sostanza in vista delle festività natalizie, quando i consumi sono soliti aumentare.
L’8 dicembre Alvaro avverte Cimarosa dell’impossibilità di fornirgli lo stupefacente: «Non c’è niente, aspettavamo qualcosa ma non c’è niente». «Per quel problema successo a Gioia Tauro no?» gli chiede Cimarosa, ma Alvaro evade la domanda. Il riferimento è al sequestro di circa milleduecento tonnellate di cocaina effettuato dai carabinieri al porto della Piana il precedente mese di novembre. La sostanza, nello specifico, venne trovata occultata in contenitori adibiti a trasportare banane.
Alvaro si mostra comunque fiducioso sul fatto che il “problema” presto si sarebbe risolto: «E tu pensi che io mi dimentico? Lasciami che mi sistemo un attimo». Ma il copione si ripeterà perlomeno per tutto il mese di dicembre, fino a che Cimarosa non deciderà di rivolgersi ad altri fornitori su suggerimento dello zio, Angelo Carina, come si evince da una conversazione del 22 dicembre 2019 dove quest’ultimo impartisce una serie di direttive al nipote.
«Neanche ce n’è a monte! […] – dice Cimarosa a Carina – Hanno fatto quel sequestro a Gioia Tauro e non hanno più niente ora!» riferendosi ai pregressi contatti avuti con i fornitori di Sinopoli. «Vuoi che vado io a prendertela a Platì? Te la porto io» risponde Carina. Così finché i due non decidono di sondare i canali di San Luca.
I piani e gli affari condivisi tra Cimarosa e Alvaro vanno anche oltre i confini regionali. Nella stessa captazione di inizio dicembre 2019, sono riproposti alcuni passaggi che ricostruiscono la volontà dei due di emigrare in terra milanese previo acquisto di un bar: «Lo compriamo! Li trovo io i soldi» dice Cimarosa. Come si intuisce dal prosieguo della conversazione, sono due i motivi che spingerebbero Carmelo Cimarosa a spostarsi. Da un lato la paura di essere arrestato dal maresciallo Andrea Marino, Comandante della stazione dei carabinieri di Scilla, come lo stesso specificherà durante la conversazione; dall’altro la circostanza di cui era venuto a conoscenza, ovvero che «a Milano vi era un consumo di stupefacenti di gran lunga superiore a quello che vi era a Scilla e che per tale motivo, un loro inserimento nel traffico illecito delle sostanze nel luogo in questione gli avrebbe consentito un notevole incremento degli illeciti profitti».
«Là quando raccogliamo un milione, due milioni di euro ce ne fottiamo tre cavoli! – dice Cimarosa – Là li raccolgono…a me hanno detto medie impressionanti, a Milano. Ogni quartiere c’è gente che fa tredici, quattordicimila euro al giorno…inc…ogni zona. Con ogni…inc…che si prendono. Al giorno, mannaia il consolato! Non so se imbrogliano però, secondo me non c’è imbroglio. Perché là arrivano…un sabato sera arrivano e non è che si prendono la dose di…inc…euro, si prendono…[…] in una serata te ne togli 200, 250 grammi. Vendiamo un sacco…».
«Però ci vuole…ci vuole il bar. – puntualizza Alvaro – Se noi entriamo con il bar; ci prendiamo una casetta in affitto. Quando mi stabilizzo bello mio». Poi sono arrivati gli arresti. (redazione@corrierecal.it)
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