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La riflessione

«Gli eroi del quotidiano»

Per carità, non intendo certo mettere in discussione l’altissimo valore della testimonianza dei martiri della giustizia. Essa costituisce oggi per noi e per le future generazioni seguiterà a costi…

Pubblicato il: 18/07/2021 – 13:44
di Nunzio Raimondi*
«Gli eroi del quotidiano»

Per carità, non intendo certo mettere in discussione l’altissimo valore della testimonianza dei martiri della giustizia. Essa costituisce oggi per noi e per le future generazioni seguiterà a costituire, la guida per l’agire coerente nella legalità, fino allo spargimento del sangue. Per questo bisognerà sempre tener desta l’attenzione ed il ricordo di queste persone soprattutto al cospetto dei giovani, i quali spesso tendono a dimenticare il passato per concentrarsi soltanto sul presente ed, in pochi, purtroppo, sul futuro.
Ma, fatta questa doverosa premessa, sento il bisogno di scrivere della “legalità dimenticata”, quella perlopiù ignorata dai media, tutti concentrati ad osannare i mitici personaggi dei nostri tempi, esemplarmente votati al martirio…
Di questi, forse più che per gli  stessi martiri della giustizia, si innalzano le gesta (peraltro ancora sub judice) fino al punto di santificarli al cospetto dell’opinione pubblica.
Sarà perché ho tutta un’altra idea dell’attività del Magistrato, così come me l’hanno inculcata i miei Maestri (operatori di giustizia nel silenzio e nella moderazione),ma non nascondo che nel vedere tutta questa – a volte perfino  eccessiva – pubblicità, provo un certo imbarazzo e dirò subito perché.
Certo lavorare nell’’antimafia non è uno scherzo da ragazzi: è un impegno duro, soprattutto per le forze dell’ordine diuturnamente impegnate nel contrasto a forme criminali efferate.
Non da meno, seppur diverso, è il lavoro dei magistrati (inquirenti), i quali, dirigendo le indagini, da un lato devono far valere il primato della giurisdizione rispetto ad alcuni eccessi degli investigatori, così garantendo i diritti dei cittadini e, d’altro lato, devono assicurare le prove dei delitti da presentare al giudice terzo, imparziale ed indipendente.
Lo stesso deve dirsi per l’avvocato, il quale, servendo la verità ed obbedendo alle leggi, fornisce un contributo, spesso decisivo, per l’accertamento dei fatti ascritti alla persona gravata dal processo che, come diceva Carnelutti, «è già una pena».
E lo è per tutti gli incolpati, siano essi comuni cittadini, professionisti o magistrati. Ricordo, ad esempio, la “conversione” di un magistrato molto rigoroso dopo una vicenda che lo vide coinvolto in un processo penale. Dopo tante peripezie riuscì ad uscire dal circuito giudiziario e, ripreso il suo posto, mutò completamente il suo approccio di dispensatore di integrità e purezza civile.
Aveva fatto, quella persona, l’esperienza di cui parlò il grande Pietro Nenni in una celebre massima: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura”. Chissà se l’esperienza bresciana varrà anche per il dottor Davigo, il fustigatore inesorabile dei costumi, rimasto  impigliato in una vicenda giudiziaria molto grave. E colgo pure l’occasione per dire che il disagio non è da meno per un Avvocato che si trovi coinvolto in un processo penale.
E non soltanto per quanto ha detto, ancora di recente, il mio amatissimo Maestro Armando Veneto,nel corso di un intervento riportato giustamente da tanti che oggi lo guardano con apprezzabile ammirazione (fra questi, sopratutto, coloro che non hanno avuto la fortuna di stare alla Sua Scuola di sobrietà professionale ed umana e che, quindi, hanno ancora tanto da imparare da Lui…)e cioè che la toga non tollera d’essere insozzata, sicché va indossata soltanto quando non s’abbia un’altra veste che con quella è incompatibile (una lezione per tanti al giorno d’oggi…),ma anche perché l’Avvocato fa parte, in senso lato, della giurisdizione in quanto protagonista del processo sull’uomo e per l’uomo.

Nunzio Raimondi

Ora, per tornare all’argomento, scusandomi per la breve divagazione “sentimentale”, vorrò aggiungere che la legalità non è soltanto ascrivibile ai suoi sacerdoti od alle sue sacerdotesse. È  vero, come scriveva Calamandrei nel suo Elogio dei giudici, che «per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa,come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede», ma è altrettanto vero che la giustizia del quotidiano esige che ad essa non si rimanga fedeli soltanto nei processi, ma nella vita. Ecco, a mio avviso, qui sta il punto. Ancora ieri sera discutevo a cena con un caro amico che ha rivestito negli anni ruoli di grande responsabilità. Fra gli altri anche quello di amministrare una grande azienda pubblica, dovendo confrontarsi non soltanto con i grandi problemi tipici di considerevoli strutture, ma anche con le piccole ingiustizie di chi si sottrae al lavoro pur percependo una retribuzione. Ed egli raccontava di come dovette, per un fatto di giustizia prim’ancora che per una formale ragione di mera osservanza della legge, indurlo a fare il proprio dovere…e di come nessuno mai seppe nulla di questo. O di quell’esercizio pubblico che non pagava il dovuto a chi l’ospitava per convenzione e che fu indotto a pagare senza mezzi termini, senza cedere a favoritismi.
Sacche d’ingiustizia che si annidano un po’ ovunque e che tanti uomini onesti e corretti, riescono a sanare col buon senso e con il richiamo all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; perché anche questa è eguaglianza di fronte alla legge, non soltanto quella che sta scritta nelle aule dei Tribunali.
Di tutta questa gente onesta che opera e fa operare nella giustizia non si parla mai.
Non si prepara per loro uno speciale da replicare in TV infinite volte, non si divulga l’esistenza del bene. Si sa, il bene non fa notizia!
Ed a tal proposito vorrei concludere evidenziando che le massomafie, la ‘ndrangheta, sono fenomeni estesi ma non di massa.
Certo, essi minacciano la nostra vita democratica, la giustizia economica e sociale, magari anche gran parte di circoscritte realtà territoriali, ma l’aver divulgato l’idea che ad ogni piè sospinto puoi trovarti di fronte ad un mafioso, ad un criminale (che pure non si può negare che sia ubiquo),ha finito per distruggere la fiducia nel prossimo, per instillare una diffidenza che perniciosamente minaccia la convivenza civile; ha finito per costringere a guardarci tutti con l’occhio velato dalla trave che cerchiamo negli occhi velati dalla pagliuzza in coloro che incontriamo, senza guardare però a ciò che è nel nostro occhio.
Occorre invece dire ad alta voce che la nostra società, nonostante i tanti scandali di cui si fa grancassa, è  per la stragrande maggioranza fatta di persone perbene, laboriose, generose, ricche di qualità, capacità, competenza, coraggio e fermezza, di relazioni condivise sui valori fondanti la nostra comunità.
E lo dico senza timore o infingimenti: chi proietta l’immagine di una Calabria ostaggio in tutto -ed a tutti i livelli- delle organizzazioni criminali, non rende giustizia alla nostra gente e le produce un danno irreparabile.

*Professore a contratto di Genesi e dinamiche delle organizzazioni criminali nel Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia dell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro

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