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l’indagine

Il racconto dell’ambulante: «Alla vigilessa non piacciono i “cardellini”. Ho paura per i miei figli»

Le vessazioni della polizia municipale sui commercianti. Le denunce. Per il gip «i soggetti coinvolti hanno tradito la propria funzione pubblica»

Pubblicato il: 21/07/2021 – 7:34
di Francesco Donnici
Il racconto dell’ambulante: «Alla vigilessa non piacciono i “cardellini”. Ho paura per i miei figli»

REGGIO CALABRIA Veri e propri “abusi”. Come a settembre 2020, quando gli esponenti della polizia municipale sono arrivati nei pressi della bancarella di Abdeliah ed hanno cominciato a caricare la merce sul loro mezzo. Merce per un valore di 800 euro circa, dirà la vittima. Nessun motivo apparente, nessun verbale, nessuna sanzione. Anche perché l’ambulante era provvisto di licenza. Quella stessa che i due, dopo averla visionata, si limitavano a gettargli addosso poco prima di andare via. Inizia da qui l’indagine che porta la procura a scoprire qualcosa di più ampio, che coinvolge diversi esponenti della polizia municipale di Reggio Calabria. Due finiscono ai domiciliari: Mauro Anselmi, classe 78 e Giuseppe Costantino, classe 75. Altri sette vengono sospesi dal servizio.
Il provvedimento cautelare eseguito nella notte tra il 19 e il 20 luglio scorsi è stato firmato dal gip, Vincenza Bellini, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gerardo Dominijanni e del pm Alessia Giorgianni. Le accuse, a vario titolo sono di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, falso ideologico e violenza privata.
Scrive la procura: «Un tale contegno non appare sotto nessun profilo rispondente alle azioni normative che regolamentano le azioni dei pubblici ufficiali, e dal narrato del denunciante, si comprende che i due agenti non si qualificavano, e con un contegno latamente minaccioso che non ha lasciato spazio ad alcuna reazione della persona offesa, gli sottraevano la merce». La denuncia di Abdeliah funge in quale modo da punto di partenza non solo per gli inquirenti, ma anche per le numerose altre vittime di quelle vessazioni. «Quella merce – dirà ai militari della Guardia di finanza – mi serviva per vivere».

«Alla vigilessa non piacciono i “cardellini”»

Condotte che si erano ripetute più volte, in diverse zone della città, nei confronti di una serie di malcapitati commercianti, anche italiani. A uno di questi, sprovvisto di licenza, vengono “confiscate” senza né verbali, né multe diverse cassette di ortaggi e frutta non esposte, ma prelevate direttamente dal suo mezzo. «O ti facciamo il verbale o ci prendiamo la merce e ce ne andiamo via», diranno gli ufficiali.
Le testimonianze sono molteplici e raccontano anche di «minacce» tese a far desistere gli ambulanti «dal presentare denunce». È questo il caso di Taibi, anche lui di origine marocchina. «I vigili vengono, ci prendono tutto e vanno via. Nessuno dei miei connazionali però è voluto venire a fare denuncia perché tutti hanno una paura tremenda», racconta.
«Una vigilessa che si faceva chiamare Mimma mi ha detto che a lei i “cardellini” non piacciono e dopo quello che ho fatto posso sparire da Reggio Calabria perché non mi faranno più lavorare».
Durante la deposizione, l’ambulante scoppia in lacrime: «Ho veramente paura per me e i miei figli. Ho paura perché non potrò più dargli da mangiare se i vigili decidono che non devo più lavorare».
In questo caso, scrivono gli inquirenti, i vigili avrebbero dovuto limitarsi a invitare l’uomo ad allontanarsi rimuovendo la merce. E invece, ancora una volta, provvedono a sequestrare quanto esposto in vendita.

Gli incontri al bar per «pianificare gli introiti della giornata»

La scelta del gip di applicare la misura cautelare ad Anselmi e Costantino, invece, viene argomentata sulla base della lucidità di azioni «di tipo costrittivo e induttivo» poste in essere «senza remore» e orientate a lucrare attraverso la loro «capacità di persuasione di privati proprietari di veicoli “appetibili” in termini di prezzi o valore con la promessa di non elevare a carico loro alcun verbale di contravvenzione».
I due vigili si davano appuntamento con gli altri “compari”, come li definisce la procura, per prendere un “caffè” al bar e «pianificare gli introiti della giornata». Tra questi vengono richiamati Bruno Stelitano, Antonio Domenico Iannò e Domenico Francesco Suraci, a cui sono riconducibili due imprese operanti nel settore del soccorso e della rimozione di veicoli. Una di queste è la “3 Esse Car”, per la quale è stato disposto il sequestro preventivo. Secondo il gip, il sistema funzionava in maniera semplice e collaudata: «I due pubblici agenti individuavano le autovetture da controllare perché i loro proprietari non avevano provveduto a pagare l’assicurazione o erano proprietari di mezzi sottoposti a fermo», e facevano loro «chiaramente intendere che avrebbero potuto evitare di essere esposti a sanzioni ove avessero preferito consegnare il mezzo a Stelitano, gestore del deposito, versando una somma tra i 150 e i 250 euro per la rimozione e il trasporto». In questo modo, accettando la «soluzione gentilmente offerta» dai vigili indagati, i privati avrebbero «evitato la contestazione della sanzione amministrativa». Un sistema che metteva d’accordo tutti, finanche le ignare vittime che gentilmente ringraziavano. Ma, come ricostruito dagli inquirenti, quella «vera e propria associazione a delinquere» agiva «con il solo scopo di far lucrare ai loro complici somme maggiori rispetto a quelle che sarebbero loro spettate se i due vigili avessero seguito le vie legali». Per la Procura, infatti, i responsabili del carroattrezzi erano d’accordo con i due agenti di polizia locale e procedevano alla rimozione e rottamazione delle auto dietro il pagamento di un corrispettivo in contanti che era di gran lunga superiore ai compensi previsti dalla convenzione con il Comune.
Anche in questo caso mancano i verbali, le sanzioni. «Non può non essere sottolineata – scrive ancora il gip nell’ordinanza – la spregiudicatezza e il forte senso dell’impunità degli indagati, i quali hanno abusato della loro qualità strumentalizzando la qualifica rivestita, violando le regole di legalità e probità professionale proprie dell’ufficio ricoperto». I soggetti coinvolti, pertanto «non hanno esitato a tradire la propria pubblica funzione, svolgendola con illecite finalità e prendendo così le distanze da chi quotidianamente, tra le forze di polizia, svolge il proprio dovere con dedizione, sacrifici e rinunce». (redazione@corrierecal.it)

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