La scelta dei candidati e la formazione delle liste è l’atto preliminare, e il più determinante, per l’elezione vera e propria. Con la presentazione delle liste e dei candidati – i giocatori che dovranno disputare la partita – già si può dire molto su quello che sarà il risultato finale. Nelle elezioni regionali in Calabria degli ultimi venti anni, centrodestra e centrosinistra si sono alternati nella guida alla regione, non solo per il negativo giudizio sul governo uscente, ma anche per la qualità e quantità nella composizione delle due principali coalizioni in campo. Nel 2000 la vittoria di Chiaravalloti e del centrodestra fu di strettissima misura (50,1% contro 49,0%) e le due coalizioni avevano pressoché un simile numero di candidati e di liste (9 liste per il centrodestra e 10 per il centrosinistra).
Nel 2005, Agazio Loiero, per il centrosinistra, si affermò nettamente con il 60,7% ottenuto dalle 9 liste che lo sostenevano, contro le 6 liste di Abramo che raggiunsero solo il 38,6%. Nel 2010, turno del centrodestra, con la vittoria di Scopelliti con 7 liste e il 57,6% contro l’uscente Loiero, con 6 liste, e il 34,8%. In questa elezione fu presente anche lo schieramento di Callipo che ottenne il 10%. Nel 2014, il centrosinistra di Mario Oliverio vinse facile con il 61,7%, sostenuto da 8 liste, contro un centrodestra spezzato in due tronconi, il primo dei quali, con Wanda Ferro candidata presidente, ottenne il 23,6% dei consensi, ed il secondo, con D’Ascola, l’8,7%. Infine, nel gennaio del 2020, il testimone passò al centrodestra con la netta vittoria di Jole Santelli, con 6 liste e il 57,1% dei consensi, contro il centrosinistra guidato da Pippo Callipo con 3 liste che ottennero il 29,2%, metà numero di liste e metà numero di consensi rispetto al centrodestra.
Venti anni di elezioni rappresentano un periodo più che sufficiente per fare tesoro delle strategie da adottare per cercare di vincere la partita, ovviamente non tenendo conto delle determinanti variabili di natura politica. In particolare, queste poche cifre suggerirebbero agli attori in campo almeno due mirate – e apparentemente lapalissiane – strategie: 1) la coalizione che schiera più candidati consiglieri (in grado di ottenere consistenti consensi personali) e più liste è favorita nell’esito elettorale; 2) lo schieramento che si divide in due o più parti va incontro ad una sicura sconfitta.
La prima condizione è determinata dal fatto che gli elettori calabresi utilizzano quale principale criterio di scelta il voto ai candidati consiglieri. Circa 9 elettori su 10 sulla scheda esprimono un voto di preferenza per un candidato consigliere e questa scelta, spesso, è svincolata dal simbolo e dello schieramento sotto il quale si presenta il candidato consigliere. Le preferenze ottenute da alcuni candidati del territorio e il trasferimento di pacchetti di voti da una coalizione all’altra in seguito all’analogo passaggio di un candidato ad una coalizione diversa da quella della precedente elezione, confermano questa modalità di scelta di una buona parte degli elettori calabresi.
La seconda condizione è resa evidente dai risultati elettorali del 2010, quando all’area di centrosinistra si richiamavano due coalizioni, e del 2014, quando le parti si invertirono con due gruppi schierati nel centrodestra contro la grande, per numero di liste, coalizione del centrosinistra. Ma casi simili se ne possono trovare dappertutto in Italia, come alle regionali della Liguria del 2015 con il centrosinistra diviso in due coalizioni, la cui somma dei voti sarebbe stata netta maggioranza.
A meno di tre mesi dalla data delle elezioni sembrano delinearsi gli schieramenti in campo. Il centrodestra sembrava si presentasse compatto, grazie agli accordi intercorsi fra i leader nazionali che hanno tenuto conto solo in minima parte degli umori dei tre principali partiti della coalizione sul territorio. In particolare l’accordo Salvini-Berlusconi – con la scelta del ticket Occhiuto-Spirlì alla guida della Regione – ha emarginato “Fratelli d’Italia” che anche in Calabria, secondo gli ultimi sondaggi, è accreditato essere il primo partito. In più le vicende nazionali, con le inevitabili frizioni tra i leader dei tre partiti per le posizioni diverse assunte nei confronti del governo Draghi, hanno reso problematica la tenuta della coalizione nella designazione del candidato presidente, nella conduzione della campagna elettorale e nella definizione del programma di governo.
A sinistra – intendendo per sinistra tutto quello che non è centrodestra – la situazione è ancora molto più complicata. De Magistris è in campo da tempo per aggregare pezzi di sinistra e gruppi “civici”, strizzando l’occhio anche ad elettori delusi del centrodestra. Il centrosinistra “ufficiale”, il PD, partito commissariato ormai da lungo tempo da un dirigente esterno alla Calabria, sembra avere trovato l’accordo, nazionale, con il M5S (che nelle precedenti regionali in Calabria ha ottenuto solo poco più di un decimo dei voti delle politiche) e sulla candidata presidente.
Per la sinistra o centrosinistra, frammentato in più parti, verificandosi la seconda banalissima condizione di cui sopra, si profilerebbe una sconfitta, più o meno netta. Consapevoli, forse, di questa condizione di potenziali e probabilissimi perdenti, i due candidati presidenti della sinistra si sono scambiati inviti, più o meno espliciti, a confluire nella rispettiva coalizione. Con la paradossale constatazione, visto il vicendevole rifiuto di aderire all’altra parte, di individuare, a tutto vantaggio della destra, il principale avversario nella competizione proprio nella stessa area politica.
Molti degli elettori schierati a sinistra, davanti ad una siffatta “irrazionale” offerta elettorale, avrebbero molti dubbi su chi preferire, con la conseguenza che di questa divisione (anche dei voti) beneficerà la coalizione di centrodestra.
E in buona parte di questi elettori sorge spontanea una domanda da rivolgere ai due candidati presidenti, nella qualità di capi delle rispettive coalizioni: “dato che avete l’obbiettivo dichiarato di far vincere lo schieramento di centro-sinistra, perché non trovate un accordo e vi presentate alle elezioni con una sola coalizione compatta, con molte liste e molti capaci candidati consiglieri?”. Una sola coalizione comporterebbe la rinuncia di almeno uno dei due candidati presidenti. Ma tanto, rimanendo in competizione i due candidati presidenti che si richiamano a sinistra, con il centrodestra compatto, solo uno riuscirebbe ad avere un posto da consigliere, quale candidato presidente secondo classificato.
Le divisioni all’interno di una stessa area politica contribuiscono certamente ad alimentare l’astensionismo. L’elettore, consapevole che il suo voto sarà ininfluente sull’esito, non si recherà neanche a votare, anche per non dichiararsi sconfitto e manifestare, con il non-voto, il dissenso verso i dirigenti della sua parte politica e, più in generale, verso tutti i partiti e la politica.
La crisi della partecipazione, e della rappresentanza, è uno dei reali problemi politici della Calabria per cui, ai principali attori in campo, al fine di limitare i danni della mancata partecipazione al voto, viene richiesto un impegno che deve andare oltre le ambizioni e le visioni personalistiche. La politica, oltre che azione collettiva, è anche compromesso; venire a patti, in senso buono, a volte è necessario per contribuire al bene comune e al funzionamento della democrazia.
* Ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici – Università della Calabria
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