CROTONE “Goletta Verde” di Legambiente alza i riflettori sull’Arma Marina protetta di Isola Capo Rizzuto. “ L’Area marina protetta Capo Rizzuto – ricorda l’associazione ambientalista – è stata istituita il 27 dicembre 1991, quest’anno saranno 30 anni che la gestione è affidata alla Provincia di Crotone su delega del ministero della Transizione Ecologica. Negli anni Legambiente non ha sempre condiviso le scelte messe in campo da questa gestione, e il modello di governance attuato, che vede coinvolti oltre alla Provincia anche comuni di Crotone e di Isola Capo Rizzuto, lo consideriamo superato e da aggiornare”. Ne hanno parlato, durante un incontro a Le Castella, Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, Antonio Nicoletti, Responsabile Aree Protette e Biodiversità di Legambiente, Cristiana Biondo, portavoce di Goletta verde e Antonio Michele Lanatà, presidente circolo Legambiente Le Castella. “Il passaggio di Goletta Verde a Crotone – sostiene Legambiente – è un’occasione per fare il punto sulla situazione attuale dell’Amp Capo Rizzuto, che da qualche mese ha superato un lungo periodo di commissariamento e di incertezza gestionale, e che ha bisogno di essere rilanciata tenendo presente le difficoltà generali in cui si trova il sistema nazionale delle aree protette e di quelle marine in particolare”. “Parlare di rilancio dell’Amp Capo Rizzuto nel suo 30esimo anno di vita non è un ossimoro, ma può essere un’opportunità per il territorio crotonese per ricominciare a credere nell’area protetta come strumento partecipato attraverso il quale mettere in campo una strategia di conservazione del mare e di tutela della biodiversità marina, di sviluppo sostenibile della costa e di presidio di legalità e di democrazia in un contesto sociale ed economico caratterizzato da una profonda crisi e influenzato dalla presenza oppressiva della ‘ndrangheta – dichiara Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria. La presenza dell’Amp ha comunque garantito la tutela del territorio ma deve puntare a diventare più forte nel contrasto alle illegalità e all’abusivismo edilizio a partire dal caso emblematico di Capo Colonna, che deve essere completamente liberato dagli abusivi e riportato alla fruizione sostenibile come si sta facendo grazie all’azione meritoria della procura di Crotone”. Per Legambiente “bisogna puntare alla reale valorizzazione della costa e liberarla dal cemento illegale, fatto di moli che si protendono in mare, porticcioli, fabbricati, muri di recinzione, piattaforme in cemento armato, porticati. Affrontare e risolvere il problema dei pozzi presenti sul promontorio e delle piattaforme che sfruttano i fondali dell’Amp che sono incompatibili con la tutela della biodiversità marina oltre che con la scelta di decarbonizzare la nostra economia. In tutti questi anni le comunità locali non hanno ottenuto nemmeno una rete di monitoraggio per registrare i danni provocati dalla attività estrattiva. Serve assolutamente stabilizzare e potenziare il lavoro messo in campo dalla Capitaneria di Porto con la presenza stabile di un presidio di vigilanza presso Le Castella, per garantire un contrasto severo all’illegalità. l’Amp deve essere un ambito territoriale in cui l’utilizzo sostenibile e legale della fascia costiera, la piccola pesca tradizionale e la nautica da diporto, si intrecciano con l’offerta turistica che nel crotonese può crescere puntando sul turismo attivo e sostenibile, tenendo sempre conto della fragilità dell’ecosistema marino e delle pressioni edilizie e antropiche che interessano la terraferma. Occorre puntare a una Amp che sia un laboratorio di sperimentazione avanzata sulle politiche del mare in Calabria e nel Mediterraneo, hot spot di biodiversità sempre più minacciato dall’impatto climatico, dall’inquinamento e dalla pesca eccessiva. A questo proposito – sostiene Legambiente – è importante valorizzare gli studi scientifici realizzati da Arpacal e Università della Calabria, che dimostrano la ricchezza di biodiversità marina e di beni archeologici che devono essere conosciuti dai cittadini e dagli amministratori, perché rappresentano un contributo alla tutela del Meditteraneo”.
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