In un bell’articolo del 24 luglio su Il Foglio del mio ottimo amico Cristiano Cupelli, si riprende il tema, assai discusso, delle pretese paralegislative del diritto giurisprudenziale, di fatto una sorta di “ribellione” della magistratura alla Costituzione e, segnatamente, al principio di legalità. Ne aveva scritto già, con toni pungenti, Claudio Cerasa, il 22 luglio sulla stessa Testata, ma il prof. Cupelli coglie nel segno quando richiama in proposito l’insegnamento della Corte costituzionale, l’organo che, a mio parere, ha dato miglior prova di sé in questi settantatré anni di vita democratica del nostro Paese, risorto faticosamente dalle ceneri del fascismo.
E con la consueta acutezza dell’autorevole accademico, Cristiano, cita un passo, direi fondamentale, della pronuncia n.98/2021 della Corte, nella quale si sottolinea che: «…a garanzia sia del principio sella separazione dei poteri, che assegna al legislatore – e non al giudice – l’individuazione dei confini delle figure di reato; sia della prevedibilità per il cittadino dell’applicazione della legge penale, che sarebbe frustrata laddove al giudice fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello desumibile dalla sua immediata lettura…», bisogna che cessi ogni lettura delle norme penali che non tenga conto dell’«assetto orizzontale dei poteri e della separazione delle rispettive competenze».
E qui sta il punto: basta con le interpretazioni “evanescenti” della legge penale da parte di pubblici ministeri che si atteggiano a sacerdoti della legalità. Le scelte di criminalizzazione spettano al Parlamento, non ai magistrati, i quali sono sottoposti alla legge, non al di sopra della legge!
Ebbene, occorre ritornare ai principi ma anche alle responsabilità: chi esercita l’azione penale in danno di chi sa essere innocente, non può essere giudicato da un suo collega in un processo contro la presidenza del consiglio dei ministri: deve rispondere, come tutti gli altri cittadini, delle proprie azioni dinanzi ad un giudice terzo.
Si dirà: ma questo finirà per ledere l’indipendenza della magistratura ogni qual volta essa dovrà agire senza riserve e con la necessaria determinazione!
Nient’affatto.
Il chirurgo non cessa di portare in sala operatoria il paziente per non finire sotto processo; ci va, con i rischi propri della sua professione, ma non mette sul letto operatorio un paziente che non deve essere operato perché sa che, se facesse questo, incorrerebbe nei rigori della legge penale.
Ecco, così pure per chi ha la responsabilità di esercitare l’azione penale, obbligatoria ma di fatto affidata alla discrezionalità – se non all’arbitrio – dei pubblici ministeri, per i giudici intimoriti da questo “andazzo”, i quali rinunziano alla propria imparzialità e convalidano accuse senza fondamento: occorre che rispondano di tali azioni di fronte alla legge.
Perché queste non sono meno illecite di quelle poste in essere dal medico o dall’avvocato o dall’ingegnere o dal professore, che tenga una condotta negligente, imprudente od imperita.
Come per i medici vi sono linee guida da osservare, il Legislatore, se necessario anche con una legge costituzionale, restituisca al Parlamento la competenza che la Costituzione gli assegna di decidere sulle politiche criminali della Nazione e sulle priorità nelle incriminazioni.
E su questo argomento si stia vigili e si denunzino pubblicamente (sopratutto dagli Avvocati… che hanno la schiena dritta e non temono – perché non possono – essere trasferiti a Torino e degradati per le opinioni espresse…) tutte le interpretazioni giurisprudenziali che, lungi dal determinare certezza del diritto, producono invece enormi danni a persone, famiglie e talora, perfino, ad intere collettività.
Come è accaduto, ad esempio, quando un’azione penale azzardata, ha sospeso per mesi la vita democratica calabrese, con una misura cautelare nei confronti di un presidente della Regione in carica che, non io, ma la Corte di Cassazione, ha giudicato alla stregua di una vera e propria persecuzione.
Come succede ogni giorno con tanti detenuti affetti da gravi malattie e tuttavia abbandonati in carcere, senza adeguate cure.
Come è successo al mio grande amico e maestro di gioventù, Giancarlo Pittelli, il quale soffre da un tempo interminabile una detenzione che, secondo quanto apprendo dai giornali, gli ha prodotto gravi patologie!
Ed a fine processo, qualora fosse assolto – come sono certo che sarà; mi permetto di dirlo anche se non sono “il migliore avvocato d’Italia”… –, chi gli restituirà la salute che questa giustizia gli ha tolto?
E chi restituirà la reputazione personale e professionale altissima di Armando Veneto, mio primo maestro, una volta che le infamanti accuse contro di lui si scioglieranno come neve al sole?
E chi restituirà a Giuseppe Valea, un magistrato umile e corretto, l’onore publico che gli è stato imprudentemente sottratto?
Chi risponderà degli sguardi maligni, delle battute a mezza bocca, dei pettegolezzi della nostra piccola società beffarda ed arrogante con chi cade in disgrazia, strisciante e lecchina con i potenti di turno?
Si riveda, quindi, con la riforma, anche la disciplina della responsabilità dei magistrati, sopratutto quando questi debordino dalla soggezione alla legge facendo prevalere il “diritto giurisprudenziale” su quello “legislativo”, ergendosi in ciò perfino a tutori della Costituzione.
Perché anche questo ci chiede l’Europa: velocizzare i processi rendendo però una giustizia più giusta.
Ed ha ragione Cristiano Cupelli, «chissà che l’odierno deficit di legittimazione morale della magistratura ci lasci in eredità il ridimensionamento delle pretese paralegislative del diritto giurisprudenziale» ed, aggiungo io, finalmente una seria disciplina della responsabilità civile dei magistrati.
«Non abbiate paura!» (S. Giovanni Paolo II).
*Avvocato cassazionista
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