CATANZARO «Tallini conosce bene la nostra famiglia e le nostre potenzialità». Giovanni Abramo, 45 anni, genero del boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, a novembre 2020 è stato raggiunto in carcere da un’ordinanza di custodia cautelare in seguito all’operazione “Farmabusiness” nella quale si contesta agli indagati di avere messo su un affare per il commercio all’ingrosso dei farmaci con i soldi sporchi della cosca Grande Aracri. L’indagine si è chiusa lo scorso 13 luglio per 24 persone, tra queste anche il presidente del consiglio regionale Domenico Tallini accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di voto di scambio politico mafioso. Ma facciamo un passo indietro.
L’8 gennaio 2021 Giovanni Abramo chiede di essere interrogato dalla Dda di Catanzaro. Due settimane dopo si trova davanti al sostituto procuratore Domenico Guarascio. Parlano per un’ora circa. «Allora, dottò – dice –, io vi ho chiamato perché sono indagato in un procedimento denominato Farmacibis… business […] … della Procura di Catanzaro, e vorrei chiarire la mia posizione su questa situazione qua». Abramo dice di non avere ricevuto in carcere nessun avviso di garanzia e di avere appreso tutto dai giornali. Poi racconta. Dice che nell’estate del 2014 lui era libero (anche se sottoposto a sorveglianza speciale) quando lo va a trovare il cugino di sua moglie, Salvatore Grande Aracri, che vive a Reggio Emilia. «Parla con me perché c’ero solo io in quel momento…», dice Abramo. Salvatore Grande Aracri prospetta l’affare: «… uno smistamento di farmaci, di medicine per tutta la zona del Crotonese, tutte ale che ricoprono su queste zone qui del Catanzarese». Il cugino gli spiega che loro potevano occuparsi dello «smistamento» dei farmaci nelle farmacie. Ma c’era un problema di soldi «perché si doveva affittare il capannone, si doveva comprare i mezzi, tutte queste situazioni, insieme sempre con queste persone». Aiutato nella memoria dal procuratore, Giovanni Abramo afferma che «queste persone» sono Paolo De Sole e Walter Manfredi.
I soldi, però, dice Abramo, non bastano: servono gli agganci politici politici «perché avevano bisogno di fare delle autorizzazioni». Per questo problema Salvatore Grande Aracri aveva già un nome: Domenico Scozzafava una persona che «qua era nell’ambiente sul Catanzarese bene, perché conosceva tutte delle persone di una certa importanza pure, no? …diciamo persone perbene, non è che… e si è messo in moto e poi hanno avuto l’autorizzazione che dicevano che c’era… non so se c’era il figlio del signor Tallini o era lui personalmente a poter far fare l’autorizzazione che, se non sbaglio, proprio in quei tempi in questi uffici c’era il signor Tallini che ne faceva di queste situazioni qua, o lui o qualcun altro vicino a lui».
Abramo si dice anche sicuro del fatto che Domenico Tallini e il figlio Giuseppe conoscessero Salvatore Grande Aracri, che lo avessero incontrato a Catanzaro e che di questo incontro gli avesse riferito lo stesso Salvatore Grande Aracri.
Risolto il problema degli agganci politici, resta quello del denaro. Giovanni Abramo afferma di avere dato «se non sbaglio, un 50mila euro» in contanti, provento di un affare illecito che Abramo chiama «l’affare di Oppido», vicenda già trattata nel processo Aemilia. «In pratica, provenivano da una truffa perpetrata nei confronti di un ente statale, in cui gli imprenditori della famiglia Oppido, si erano accaparrati fittiziamente un finanziamento statale. Mi pare un finanziamento autorizzato dal Tribunale di Napoli. Essendo loro cutresi, una quota di tale truffa me la consegnarono. Mi pare per una cifra intorno agli 80 mila euro». La cifra venne consegnata a Giovanni Abramo in quanto esponente della famiglia Grande Aracri. «Sì, sì, sì, sì, sì, sono stato condannato per mafia, dottore!», dice Abramo.
Giovanni Abramo in un primo momento afferma che dopo avere dato i soldi al cugino «… De Sole e questi qua e hanno creato questa società qua. Poi, il resto, come facevano arrivare questi farmaci o no, non mi interessava a me più… mi interessava solo a me che fruttava la società, che rientravano i soldi, questo qua». Poi, pur avendo partecipato alla riunione nella tavernetta dei Grande Aracri a giugno 2014, parte con una difesa a oltranza del nucleo familiare del suocero: «Per quanto riguarda mio zio l’avvocato Grande Aracri, non c’entra nulla perché non c’entra in queste situazioni qua, ma non perché… io direi la verità, non c’entra perché lui di queste cose non ne vuole proprio che sapere, non c’entra su questa situazione». Il pm gli contesta che, però, l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss Nicolino, si è attivato a trovare le farmacie alle quali distribuire i medicinali ed è stato più volte evocato nella discussione nella tavernetta quale “volto pulito” che non desta l’attenzione delle forze dell’ordine. Non solo. Ci sono tutta una serie di intercettazioni nelle quali Domenico Grande Aracri si sente con Domenico Scozzafava, l’antennista catanzarese che fa da trait d’union tra l’assessore Tallini e la cosca. Ma Abramo su questo punto si smarca affermando di essere stato arrestato nel 2015 e che ignora quello che sia avvenuto dopo. Il procuratore insiste: «E suo zio Domenico Grande Aracri quando chiamava i farmacisti a nome di chi andava?».
«Ma non lo so, sì, che c’è mio zio…», dice Abramo il quale alla fine, in qualche modo, si arrende: «E penso di sì, diciamo, perché alla fine, diciamo, c’è sempre un retro… un retro conto, no? …della situazione. […] O familiare, poi non so se lui ha parlato con queste persone e ha fatto una situazione diversa dopo che non c’eravamo noi».
Un po’ gli tremano i polsi a Giovanni Abramo quando scopre che a giugno 2014 nella tavernetta erano intercettati. Il pm gli fa presente che all’incontro erano presenti lui, Scozzafava, la suocera Giuseppina Mauro, Leonardo Villirillo… «Ma che c’ero anche io personalmente?», chiede Abramo.
«Sì, è un incontro, guardi, del giugno 2014», gli riferisce il magistrato.
«C’era questa intercettazione?», chiede Abramo. Proprio lui che durante quell’incontro era il più guardingo e aveva paura che i soci di Roma (De Sole e altri) potessero essere infiltrati dei servizi segreti. Invece, peggio ancora, tutto l’incontro è stato intercettato dalla Dda di Catanzaro. Giovanni Abramo difende la suocera dicendo che l’incontro era stato fatto a casa sua e quindi «se doveva fare un caffè…».
Nella conversazione nella tavernetta viene tirato fuori il nome di un assessore. Chi era l’assessore?, chiede il pm.
«Ma Tallini lo sa chi siamo noi, lo sa benissimamente, ci conosce troppo bene a noi». La ragione, dice Abramo è perché «Scozzafava con mio cugino c’aveva un’amicizia molto stretta e gli ha detto chi eravamo noi e lui si è messo a disposizione per fargli dare l’autorizzazione ad aprire il capannone dello smistamento dei farmaci. Lo sapeva troppo bene, non è che non lo sapeva!».
«Che utilità aveva Tallini nell’aiutarvi ad aprire…», chiede il pm.
«E ma lui cosa… giustamente quando gli serviranno dei voti, o gli servirà qualche altro piacere in una seconda fase, lo sa che noi ci mettiamo a disposizione», afferma Abramo dicendo di avere appreso tutte queste informazioni dal cugino Salvatore al quale le aveva dette Domenico Scozzafava che, spiega Abramo, su Catanzaro si muoveva sempre a nome della famiglia Grande Aracri. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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