COSENZA Lo scorso 27 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha ribaltato il giudizio di primo e secondo grado che aveva condannato all’ergastolo Luigi Galizia, imputato per il duplice omicidio di Edda Costabile e Ida Attanasio, uccise entrambe a San Lorenzo del Vallo nella mattina del 30 ottobre 2016. La sentenza che condannava l’imputato al “fine pena mai” è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro. Galizia – secondo l’accusa – si sarebbe reso responsabile del delitto per consumare una vendetta nei confronti della famiglia Attanasio. Francesco Attanasio, infatti, figlio e fratello delle due vittime – qualche mese prima del duplice omicidio delle donne – uccise Damiano Galizia, fratello di Luigi. Di quel delitto Francesco Attanasio si è dichiarato reo confesso e adesso sconta una pena di 30 anni di carcere riformata dalla Corte d’Appello considerato l’ergastolo rimediato in primo grado al termine del processo celebrato in rito abbreviato.
A distanza di due mesi dalla decisione della Cassazione, sono state rese note le motivazioni della sentenza. La difesa di Luigi Galizia ha proposto un atto articolato in undici punti. Secondo l’avvocato Cesare Badolato, difensore dell’imputato, «i giudici hanno ritenuto provata la responsabilità penale di Luigi Galizia sulla base di indizi privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. In particolare, è carente il requisito della univocità, dal momento che il movente della vendetta – fondamentale nella ricostruzione operata in sentenza – non appare l’unica possibile spiegazione della morte delle due vittime». Poco prima di uccidere il fratello di Galizia, infatti, Attanasio aveva rivelato agli inquirenti l’esistenza di un arsenale di armi verosimilmente appartenente a una potente organizzazione criminale e per questo «potrebbe, essere stata quest’ultima a ordire la vendetta, e appare del tutto illogica la motivazione con cui nel provvedimento è esclusa tale possibilità». I difensori di Galizia rafforzano il concetto riferendo di «deposizioni testimoniali fondamentali, dalle quali emerge con nitidezza che Luigi Galizia non ebbe contezza dei nomi delle vittime fino al giorno dopo e che, venuto a conoscenza del fatto, essendo da mesi seguito da supposti appartenenti alla banda criminale, temeva che a un regolamento dei conti ne sarebbe seguito un altro». A questo si aggiunge la «manifesta illogicità della motivazione per quanto concerne il rinvenimento delle particelle di polvere da sparo all’interno dell’auto sequestrata e sugli indumenti presenti sul sedile posteriore. I giudici, da un lato, traggono dal rinvenimento della polvere da sparo sull’auto un elemento indiziario a carico di Luigi Galizia (peraltro affermando che quanto rilevato sugli indumenti è compatibile con i bossoli sequestrati sul luogo del delitto); dall’altro lato, però, al fine di superare l’obiezione difensiva secondo cui se gli indumenti trovati sul sedile posteriore fossero stati usati al momento dell’omicidio i residui di polvere da sparo avrebbero dovuto essere in un quantitativo superiore, il collegio osserva che Luigi Galizia, comunque, era solito adoperare armi e frequentava un poligono, sicché le tracce potevano essere il frutto di pregresse esercitazioni. Altro nodo cruciale riguarda la mancanza di motivazione in ordine alla dimostrazione della colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. «La Corte di Assise di appello si limita a ripercorrere l’iter del procedimento di primo grado e argomenta la sua decisione con una mera formula di stile, non indicando, ad esempio, quali siano le dichiarazioni testimoniali a fondamento della decisione e quale contributo abbiano fornito gli accertamenti balistici». Ancora, secondo la tesi difensiva «i giudici incorrono in errore laddove affermano che l’assenza di testimonianze attestanti la presenza di Luigi Galizia nel cimitero al momento dell’omicidio è da ricondurre al clima di omertà presente a San Lorenzo del Vallo, in quanto il ricorrente non era un boss criminale (essendo, anzi, incensurato), ed è del tutto irrazionale pensare che quel giorno, in cui il cimitero era affollatissimo, nessuno abbia assistito all’uccisione delle due donne». Un altro punto presente nel corposo ricorso fa riferimento alla «mancata assunzione di una prova decisiva». La difesa aveva chiesto di procedere, in appello, a una nuova audizione del teste Montone, che avrebbe potuto deporre su due aspetti decisivi: sulla effettiva impossibilità, dal bar Aceto, di vedere le automobili in transito, e sulla presenza del Galizia al momento in cui giungeva la voce degli spari. «Montone, peraltro, mentre era intercettato nella Stazione dei Carabinieri, ha ulteriormente affermato che Galizia non poteva essere l’autore dell’omicidio, trovandosi con lui al momento del fatto». A fondamento del riconoscimento dell’aggravante i giudici «pongono solo il dato cronologico, mentre nulla viene detto in ordine a quello ideologico o alla sussistenza di elementi estrinseci sintomatici, come l’organizzazione di un piano o la predisposizione di un agguato».
Per gli Ermellini «l’analisi delle argomentazioni esposte nella sentenza di appello nel trattare il tema delle tracce di polvere da sparo non risulta coerente, perché non consente di comprendere se il giudice di secondo grado abbia ritenuto ricollegabili tali tracce al duplice omicidio per cui è processo». L’accoglimento del quarto motivo di impugnazione, dunque, comporta «l’assorbimento del primo motivo, con particolare riguardo al movente del duplice omicidio; del secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la mancanza della motivazione circa la dimostrazione della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio; del sesto motivo, riguardante il momento nel quale l’imputato poté avere conoscenza degli spari nel cimitero; del settimo motivo, riguardante la possibilità per Luigi Galizia di vedere le vittime dal bar all’interno del quale si sarebbe trovato al momento del loro passaggio; del decimo motivo e dell’undicesimo motivo, sulle aggravanti». In ordine alle questioni poste «sarà onere del giudice del rinvio rendere adeguata motivazione e svolgere la prova di resistenza o comunque, stabilire se la ricostruzione del fatto, sia idonea a giustificare anche il riconoscimento delle citate aggravanti, naturalmente dipendente dalle valutazioni che saranno compiute circa la possibilità di ritenere provata la colpevolezza di Luigi Galizia». Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata è stata annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Catanzaro che «svolgerà nuovo giudizio senza incorrere nei vizi riscontrati, e fornirà adeguata motivazione sui profili non sorretti, nella sentenza annullata, da adeguata motivazione».
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