«Libertà e Democrazia sono forse i due termini più abusati mentre se sta consumando inesorabilmente la loro morte, sia pure eutanasica. Il diritto alla libertà, per esempio in tema di contenimento della diffusione del Covid, viene sbandierato da chi pretendendo di fare ciò che gli pare e piace, ne nega finanche la sua riduzione marxista “la libertà è il diritto di fare, di esercitare tutto ciò che non nuoce agli altri” (Karl Marx) anche per come ripresa da Martin Luther King “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”. Un minimo comune multiplo della libertà su cui, almeno in teoria, nessuno può ritrovarsi in disaccordo se non chi aspira alla pura anarchia.
Certo, ascoltare gli slogan “libertà, libertà!” durante le manifestazioni contro i diversi livelli di obbligo vaccinale, in Francia come in Italia, lascia un po’ perplessi, rimandando alla sottile membrana di separazione tra l’iperliberismo, a cui sembra affacciarsi di recente Fratelli d’Italia – si badi bene solo per l’area del suo mercato elettorale – e l’anarchismo utopico.
La libertà, che è invocata anche in una fase preelettorale come quella attuale in Calabria, viene invece ridotta nei monologhi politici e nelle campagne di marketing a base di post sui social media, ad una libertà dai partiti, ormai distrutti come organizzazione del pensiero e formatori di coscienza politica, a favore di una partitocrazia gestita da piccoli cartelli di potere economico, pseudo culturale e finanziario, o da personalistici e familistici club personali e parentali. Ciò contribuisce ad una sostanziale morte non appariscente ma ugualmente drammatica, della democrazia e, di conseguenza, della libertà. La democrazia non è più in grado di difendere la conoscenza e di affermare il merito, esaltando la mediocrità oggi essenza del nuovo dominio di un’informazione che fa dell’incompetenza un paradigma, ritenendo che la velocità del risultato che si vuole ottenere, in qualunque campo, possa andare anche al di là del rispetto di valori e di vincoli di principio (Tom Nichols, The Death of Expertise. The Compaign Against Established Knowledge and Why in Matters – 2017).
La crisi della democrazia nasce da lontano. Non a caso due politologi di Harvard, Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, nel loro “Come muoiono le democrazie”, pubblicato in Italia da Laterza (2019), scrivono “Adesso gli apocalittici sono diventati gli integrati, mentre i progressisti e gli amici della società aperta sembrano spaesati. L’inversione dei ruoli fa sì che l’annuncio di una catastrofe imminente venga diffuso da quegli stessi partiti politici che avevano giocato in passato il ruolo della mediazione e del filtro delle istanze radicali. Una parte dell’establishment ha lasciato il “centro” per transitare nell’estremismo populistico, incoraggiando odio e fanatismo. Da qui la tesi centrale del libro: “se c’è una cosa che emerge chiaramente (…) nella storia è che la polarizzazione estrema può uccidere una democrazia”. “L’essenza della democrazia occidentale si basa, ricordano i due autori, sulla “civiltà del compromesso”. La democrazia non è un fiore, è un giardino dove si trovano fiori diversi, non tutti sono belli, ma esistono. La “civiltà del compromesso” ha però un nemico sempre risorgente: la promessa della palingenesi sociale, la pulizia del giardino, con la relativa indicazione del Nemico della Patria. La democrazia parlamentare funziona meglio nei paesi soddisfatti, pacificati. La democrazia deve guardare con estrema diffidenza ai desideri di purezza e di purificazione. Si può restare perplessi, ma la democrazia ha appunto un codice difficile, che non è in sintonia con la pancia, luogo naturale del moralismo”.
Estirpare il fiore nemico, non più avversario. È quello che si mostra chiaramente negli attuali monologhi (ripeto, inutile parlare di dibattito) della campagna elettorale calabrese. Le evidenze sono tante: mostrarsi l’antisistema, mostrarsi difensore di legalità, mostrarsi capaci di progettualità senza avere nessun progetto. Su questi vuoti, dove non c’è nessun contenuto se non l’additare il nemico, non c’è una particolare differenza tra i diversi schieramenti. L’obiettivo per quasi tutti – compreso qualche apparente candidato presidente -è quello di guadagnarsi uno scranno in consiglio regionale, con la relativa rendita e con la prospettiva un eventuale seggio romano. Anche per questo l’esito risulterà quello di un astensionismo ancora più marcato di quello registrato in Calabria negli ultimi anni.
*Imprenditore e Componente Coordinamento Popolari rete Calabria
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