REGGIO CALABRIA La verità processuale, seppur parziale, restituisce qualche elemento in più sui rappresentanti della «componente segreta della ‘ndrangheta». Personaggi che dalla narrazione dibattimentale e nella ricostruzione dell’accusa appaiono degni della prosa pirandelliana: professionisti, politici, appartenenti alla massoneria (regolare e non), affiliati ai clan o addirittura capaci di orientare l’azione criminale pur rimanendo alieni alle milizie ‘ndranghetiste. “Molte maschere, pochi volti”. La sentenza di primo grado del rito ordinario del processo “Gotha” parla di loro, della “cupola” e della componente politica. Ma non risparmia soprese. Non è un colpo di scena la condanna di Paolo Romeo, ritenuto dall’accusa ai vertici (occulti, ma intrinseci) del sistema. Diverso il discorso per l’ex senatore Antonio Caridi, assolto a fronte dei 20 anni di carcere chiesti dal pm. Il bilancio si chiude in parità: 15 condanne e 15 assoluzioni.
Fin dalla mattinata, fuori dall’Aula Bunker di Viale Calabria l’atmosfera appare più pesante. Non solo per il caldo asfissiante che avvolge la città, ma perché i volti degli imputati presenti appaiono più tesi rispetto alle altre udienze. E così fino alla lettura del dispositivo da parte della Corte presieduta dal giudice Silvia Capone intorno alle 21di sera. Sono passati circa cinque anni dalle inchieste che hanno generato “Gotha”, il processo dei processi alla “cupola” reggina. Poco più di tre ne sono passati invece dalla pronuncia del rito abbreviato di marzo 2018. In quell’occasione era stato condannato a 20 anni di reclusione l’avvocato Giorgio De Stefano, ex consigliere comunale Dc e cugino del noto boss Paolo De Stefano. Il suo era il primo volto disvelato tra quelli degli “invisibili”. Ma non era l’unico. Dopo tre anni di intenso dibattimento la lista si allarga. «Solo pochissimi potevano creare una componente apicale della ‘ndrangheta come estranea al contesto associativo. E quei pochissimi sono qui imputati» aveva rimarcato il pubblico ministero Giuseppe Lombardo nell’ultima udienza dedicata alla requisitoria pronunciata dall’accusa nel rito ordinario lo scorso 26 maggio. Alla sua, si erano avvicendate le voci dei pubblici ministeri Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Giulia Pantano, Sara Amerio che a poco a poco hanno unito i puntini disseminati tra diverse inchieste più o meno datate, da “Mammasantissima” a “Fata Morgana” passando per “Sistema Reggio”. Tra i condannati c’è Paolo Romeo, anche lui, come De Stefano, avvocato. L’ex parlamentare Psdi è stato condannato a 25 anni. Regge il “Capo A” dell’imputazione, quello dell’associazione mafiosa. La pena chiesta per lui dall’accusa e pronunciata nell’ultima udienza requisitoria dal procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, era di 28 anni. «Paolo Romeo era il Dio della ‘ndrangheta e della politica» aveva detto, in queste stesse aule, il pentito ex assessore e poliziotto Seby Vecchio, arrestato nell’operazione “Pedigree 2”. Insieme alla condanna arriva l’interdizione dai pubblici uffici, così come per una serie di altri condannati “illustri”.
La procura lo ha descritto come «la mente pensante della ‘ndrangheta» non soltanto capace di orientarne le strategie, ma anche di delineare le regole che tenevano insieme i clan sulla scorta di quell’accordo fatto tra i sovrani dei tre mandamenti (i Piromalli per la zona tirrenica, i De Stefano-Tegano per Reggio città, i Nirta-Scalzone per la Jonica) per non versare più sangue disperdendo le energie in lotte intestine. La sentenza di condanna riconosce Romeo come uno dei «rappresentanti di un sistema criminale così evoluto da essere diventato un’Istituzione». Occultato in maniera tale che nemmeno gli affiliati stessi – se non quelli in possesso di sovradoti – ne venissero a conoscenza. E non solo “Istituzione” in maniera figurata, ma anche concreta, penetrando le Istituzioni ufficiali del Paese, aggregando soggetti “cerniera”. Tra le figure politiche spiccavano i nomi dell’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra condannato a 13 anni e dell’ex senatore Antonio Stefano Caridi, assolto. Per entrambi l’accusa aveva chiesto una condanna a 20 anni di reclusione. Il primo era stato indicato sempre da Vecchio quale «espressione della cosca Condello» mentre il secondo, nella ricostruzione fatta dal pubblico ministero Giulia Pantano – con riferimento al filone relativo all’inchiesta “Alchemia” – sarebbe stato eletto coi favori delle cosche. Altri nomi cruciali erano quelli del dirigente pubblico Marcello Cammera, condannato a 2 anni a fronte della richiesta dell’accusa di 16 e Carmelo Giuseppe Cartisano condannato invece a 20 anni a fronte della richiesta dell’accusa di 16. Per lo storico rettore del santuario di Polsi, don Pino Strangio la condanna a 9 anni e 4 mesi è di poco ridimensionata rispetto a quella richiesta dall’accusa.
Disposte anche le liquidazioni dei danni alle parti civili tra cui 300mila euro per l’associazione Libera e 100mila per Cgil Reggio Calabria e nazionale. Dal momento della lettura del dispositivo è previsto un termine di 90 giorni per il deposito delle motivazioni.
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