REGGIO CALABRIA Coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gerardo Dominijanni e dai pm Walter Ignazitto, Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua, l’inchiesta sull’infiltrazione della ‘ndrangheta nella sanità reggina (nella quale il gip ha disposto gli arresti domiciliari per il consigliere regionale dell’Udc Nicola Paris) ha fatto luce su un’associazione a delinquere finalizzata al condizionamento degli appalti per le pulizie e alle varie proroghe degli affidamenti.
Gli inquirenti hanno scoperto tutta una serie di corruzioni finalizzate al pagamento privilegiato di fatture. Sono emersi elementi, inoltre, su illeciti legati alle sanificazioni e alle mascherine nel periodo della pandemia.
Paris è accusato di essere stato vicino a soggetti legati alla ‘ndrangheta di Melito Porto Salvo e di Reggio Calabria. In particolare, secondo la Procura di Reggio Calabria, si sarebbe impegnato per la conferma di un funzionario infedele che avrebbe favorito i clan. Tra gli arrestati, infatti, ci sono anche alcuni funzionari dell’Asp come il direttore finanziario dell’Azienda sanitaria provinciale. Complessivamente, la guardia di finanza ha eseguito 16 arresti e una misura cautelare. Nove di questi sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Karin Catalano su richiesta della Dda e della Procura ordinaria e sette sono finiti agli arresti domiciliari, tra cui il consigliere regionale Nicola Paris, mentre per un indagato è stata disposta l’interdizione.
Dopo innumerevoli proroghe illegittimamente concesse, viene indetta una gara per l’affidamento del medesimo servizio che verrà aggiudicata, grazie ad un collaudato sistema di corruttela, alle stesse società, nel frattempo riunitesi in A.T.I.; indebite dazioni che, lungi dall’esaurirsi con l’aggiudicazione dell’incanto, sono state elargite in maniera continuativa e sistematica al fine di mantenere saldo nel tempo il pactum sceleris con questi siglato. Per come emerso, il sodalizio investigato, al fine di poter fornire lecita giustificazione agli ammanchi di denaro dalle casse sociali connesse alle indebite elargizioni, era solito fare ricorso a false fatturazioni emesse da imprese compiacenti, con le quali erano sono in essere, altresì, leciti rapporti commerciali.
Nel corso delle investigazioni, inoltre, sono stati cristallizzati specifici episodi di corruttela che hanno coinvolto anche il Direttore della Struttura Complessa Gestione Risorse Economico Finanziarie dell’Asp di Reggio Calabria, in capo al quale sono state accertate indebite dazioni di denaro e altre utilità (un costoso Smartphone) da parte di taluni degli imprenditori investigati, in rapporti di reciproci vantaggi, concretizzatisi per questi ultimi in una “corsia preferenziale” per il pagamento delle prestazioni rese. Il rapporto del citato Direttore con gli indagati era diventato così stretto che gli stessi si sono attivati al fine di consentire a questi di ottenere una proroga nell’incarico di prossima scadenza, il tutto attraverso l’intermediazione di un consigliere della Regione Calabria (attinto da misura cautelare degli arresti domiciliari) – la cui campagna elettorale era stata, tra l’altro, sostenuta da alcuni degli indagati medesimi. L’attività svolta ha altresì permesso di rilevare come le componenti l’ATI abbiano svolto con modalità difformi da quelle previste i servizi straordinari di sanificazione e disinfestazione – affidati dall’ASP a seguito del diffondersi dell’epidemia da nuovo coronavirus – da effettuarsi presso i diversi presidi ospedalieri della Provincia di Reggio Calabria.
Ancora, è stato accertato che gli indagati, in piena crisi pandemica, si appropriavano indebitamente dei dispositivi di protezione individuale anti-COVID19, sottraendoli finanche al personale sanitario impegnato in occasione dell’emergenza nonché si sarebbero sottoposti indebitamente alla vaccinazione contro il Coronavirus (prevista, all’epoca dei fatti, solo per individuate categorie). Da ultimo, sono state acclarate condotte estorsive poste in essere da alcuni indagati, i quali pretendevano da individuati dipendenti la restituzione di una quota parte mensile dello stipendio da questi percepito (pari a circa 250 euro, ogni mese).
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