REGGIO CALABRIA Sono complessivamente 24 gli indagati dell’operazione “Inter Nos” che ha fatto luce sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella sanità pubblica e in particolare sugli appalti per le pulizie nell’Asp di Reggio Calabria.
Nove persone sono finite in carcere su disposizione del gip Karin Catalano che ha firmato l’ordinanza di arresto su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gerardo Dominijanni e dei pm Walter Ignazitto, Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua. Tra queste c’è il direttore del settore della struttura complessa Gestione Risorse Economico Finanziarie dell’Azienda sanitaria provinciale, Giuseppe Corea.
Sette indagati sono finiti ai domiciliari, tra cui il consigliere regionale Nicola Paris, accusato di corruzione. Per lui la Dda e la Procura ordinaria avevano chiesto il carcere perché, nella sua qualità di consigliere regionale, «tentava di intervenire presso il governatore facente funzioni della Regione Calabria Antonino Spirli al fine di sollecitare il rinnovo contrattuale» di Giuseppe Corea, ritenuto un «funzionario asservito» agli imprenditori coinvolti nell’inchiesta e che avevano sostenuto lo stesso Paris «durante la campagna elettorale». Nell’ordinanza di custodia cautelare si sottolinea che «il presidente Spirlì, coerentemente con quanto emerso dalle intercettazioni, ha confermato, sentito a sommarie informazioni dai pubblici ministeri in data 28 giugno 2021, che il consigliere Paris, la scorsa primavera, in un incontro presso gli uffici della giunta regionale a Catanzaro, gli avrebbe chiesto di metterlo in contatto con il commissario straordinario Scaffidi. Il governatore facente funzioni, comprendendo che si trattasse di “questioni personali” gli avrebbe suggerito di contattare direttamente il commissario (Gianluigi Scaffidi, ndr), cosa che effettivamente è avvenuta».
Insieme a Paris, sono finiti ai domiciliari la funzionaria dell’Asp Filomena Ambrogio, gli imprenditori Angelo Zaccuri, Lorenzo Delfino Sergio Piccolo, Gianluca Valente e l’impiegato della Direzione sanitaria dell’ospedale di Melito Salvatore Idà. Oltre al dirigente dell’Asp Corea, invece, in carcere sono finiti Domenico Chilà, Antonino Chilà, Giovanni Lauro, Antonino D’Andrea, Mario Carmelo D’Andrea, Francesco Macheda, Nicola Calabrò e Massimo Costarella.
Il gip ha disposto, infine, l’interdizione per un anno nei confronti di Giuseppe Giovanni Galletta, direttore dell’esecuzione del contratto di appalto per le pulizie vinte dall’Ati “Helios”, ritenuta legata alle cosche di Locri oltre che alle famiglie mafiose Serraino di Reggio Calabria e Iamonte di Melito Porto Salvo.
Le 17 persone coinvolte nell’inchiesta sono accusate, a vario titolo, di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere – aggravata dall’agevolazione mafiosa – finalizzata alla turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, corruzione, frode nelle pubbliche forniture, estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, Nell’inchiesta, con l’accusa di turbativa d’asta, sono indagati anche l’ex direttore generale dell’Asp Grazia Rosa Anna Squillacioti, l’ex commissario Francesco Sarica e la dirigente dell’ufficio Programmazione e Bilancio dell’Azienda sanitaria Angela Minniti.
L’indagine dello Scico e del Gico della Guardia di finanza ha permesso di accertare che i servizi di pulizia e sanificazione delle strutture amministrative e sanitarie ricadenti nella competenza territoriale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria sono stati affidati ad individuate società, i cui membri, risultati essere «legati» a varie consorterie criminali della provincia di Reggio Calabria. Dall’attività investigativa, infatti, è emerso un distorto utilizzo del sistema della proroga del rapporto contrattuale. In assenza di alcuna procedura di evidenza pubblica, gli indagati sono riusciti per anni a proseguire artificiosamente il rapporto con l’Asp. Tra proroghe e ricorsi, il il collante era quello che i pm definiscono «un collaudato sistema di corruttela»: false fatturazioni emesse da imprese compiacenti, ma anche indebite dazioni di denaro sono state elargite in maniera continuativa e sistematica al fine di mantenere saldo nel tempo il pactum sceleris siglato tra i funzionari dell’Asp e gli imprenditori vicini ai clan che godevano di una «corsia preferenziale» per il pagamento delle prestazioni rese.
L’Ati “Helios” avrebbe poi svolto in maniera irregolare i servizi straordinari di sanificazione e disinfestazione che gli erano stati affidati dall’Asp a seguito del diffondersi del coronavirus. «Si compra una pompetta, non è che si deve fare per forza con il macchinario». È una delle intercettazioni registrate dalla guardia di finanza. E ancora: «In un giorno se è solo la sanificazione senza pulizia… perché la pulizia c’è…se ce la danno… senza pulizia si possono organizzare per farsene venti in un giorno… perché per andare a fare solo (simula uno spruzzo con la bocca).. e se ne vanno…e mezz’ora…hai capito? Quindi ne possono fare venti, a noi ci conviene, se noi ci aggiustiamo…per dire…gli mettiamo, un esempio, ne fanno venti». A pandemia in corso, gli indagati si sarebbero appropriati indebitamente dei dispositivi di protezione individuale anti-Covid-19, sottraendoli finanche al personale sanitario impegnato in occasione dell’emergenza.
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