LAMEZIA TERME In alcune aree del litorale di Torremezzo – comune di Falconara Albanese e, per l’immaginario bruzio, la “Cosenza beach” degli anni 90 – è sconsigliabile lasciare i bambini liberi di allontanarsi in spiaggia per giocare. Il pericolo è che finiscano in un’acqua nerastra che scorre in rivoli fino al mare. Arriva dal torrente Malpertuso: l’ultimo sversamento sospetto è stato documentato giorni fa dalle telecamere della Tgr. Succede spesso e i bagnanti se ne lamentano. Nella nebulosa che avvolge il settore della depurazione c’è modo di distribuire colpe agli sversamenti abusivi, al movimento terra, ai depuratori.
Certezze: poche. Ma una, almeno riguardo all’impianto di Falconara, c’è. Il Comune non è destinatario di procedura di infrazione (un fatto che obbliga le istituzioni ad adeguare le strutture), ma era tra quelli ai quali la Regione aveva assegnato un finanziamento per rendere più efficiente un depuratore che, sotto la pressione del turismo estivo, potrebbe perdere colpi. Un finanziamento da circa 650mila euro concesso per “completare” gli effetti della madre di tutti gli interventi sulla depurazione: la delibera numero 34 dell’8 febbraio 2018, un maxi piano da 138 interventi per un importo complessivo di 195,7 milioni di euro. In soldoni: il depuratore di Falconara non rientrava tra quelli destinatari del fondo ma si è deciso di fare uno sforzo in più per migliorarne la funzionalità. «Necessario – ci dice un tecnico – perché senza intervenire sul torrente Malpertuso si rischia di pregiudicare la qualità delle acque in tutta quell’area del Tirreno cosentino». Non solo “Cosenza beach”, ma anche le spiagge vicine rischiano di esserne travolte. Dalla certezza a un dubbio che investe uffici regionali e amministratori locali: che fine ha fatto quel finanziamento per il depuratore di Falconara Albanese? Non è chiaro se nella nuova programmazione presentata alla Cittadella regionale vi sia spazio per gli interventi aggiuntivi individuati nel 2018. Non si tratta soltanto di Falconara. Ci sono anche San Lucido, Isca sullo Jonio, Melito Porto Salvo, Santa Caterina sullo Jonio, Torre di Ruggiero, Trebisacce e l’impianto Corap di Gioia Tauro. Proprio al tratto di mare tra Paola e San Lucido (il cui depuratore era destinatario di un intervento da oltre un milione di euro), si riferiscono le immagini giunte ieri alla nostra redazione e che vi proponiamo sotto.
L’elenco delle delibere che si sono succedute negli ultimi anni è lungo e dà la possibilità di fissare un altro dato: i soldi per intervenire sugli impianti ci sono, ci sono sempre stati. Il problema è definire gli stanziamenti, far partire i lavori e monitorarli. In teoria, uscire da una procedura di infrazione non è un processo complicare: basta terminare l’intervento sull’impianto, renderlo a norma e raggiungere il numero di abitanti equivalenti fissato dalle norme comunitarie. Si potrebbe fare in sei mesi ma la Calabria non ci riesce neppure in anni. Nonostante stanziamenti enormi di risorse. Proviamo a riepilogarli. Si parte dai 195 milioni della delibera 34 del 2018. Ma la Regione è andata oltre: con una ricognizione sullo stato dell’arte degli impianti di depurazione e delle condotte fognarie ha provato, in qualche modo, a sostituirsi alla Comunità europea, individuando direttamente le situazioni di crisi. Sono stati programmati, così, 127 interventi per un importo complessivo di 90 milioni di euro (il Piano è stato approvato dalla giunta Oliverio nel febbraio 2018 ed è da finanziare). Prima ancora, nel 2015, erano nati due programmi finanziati con altrettante delibere di giunta e pensati per offrire supporto e sostegno economico ai comuni rivieraschi. L’importo era di 15,7 milioni di euro.
Non basta: nello scorso mese di gennaio, il dipartimento Ambiente (al quale è stata delegata la materia) ha messo nero su bianco una prima programmazione, che riguarda 127 Comuni per circa 67 milioni di euro. Di questi Comuni, 27 fanno parte della delibera 34 (quella pensata per superare parte delle procedure di infrazione), integrata per 15 milioni di euro.
C’è, poi, una seconda e più recente programmazione che riguarda 25 Comuni per un totale di 38,7 milioni di euro da prevedere nel Pnrr. Anche questa integra la delibera 34 per un importo pari a 17,5 milioni di euro. Questo è il quadro di insieme: circa 400 milioni di euro stanziati complessivamente (la maggior parte dei quali concentrata in tre anni) anche per interventi sovrapposti e non finalizzati, almeno in questa fase, a superare i rilievi dell’Unione europea. I fondi, dunque, non mancano (tra quelli stanziati con la delibera 34 e quelli annunciati: tutti gli altri). E neppure una certa confusione, aspetto del quale ci occuperemo presto.
Davanti a tanto spiegamento di forze (finanziarie), rileva una questione sollevata tempo fa dall’eurodeputata del M5S Laura Ferrara. Riguarda la trasparenza: «Da tempo – scriveva Ferrara in una nota – denuncio l’assoluta mancanza di informazioni chiare e puntuali sulla spesa delle ingenti risorse che negli anni sono state destinate al comparto depurativo calabrese. Tale carenza è riscontabile nella lentezza con cui si procede all’aggiornamento della “Banca dati depurazione Calabria” aggiornata all’aprile 2020 e in cui nulla è indicato in merito alla procedura 2017/2081 che coinvolge decine di agglomerati calabresi». «La depurazione delle acque – continua l’eurodeputata – deve essere una priorità per la Regione Calabria perché a queste risorse andranno ad aggiungersi quelle previste nel Pnrr. La Regione Calabria ed i Comuni sono chiamati alla responsabilità, al monitoraggio e al perseguimento costante degli obiettivi. Non dovranno ripetersi gli errori del passato, i gravi ritardi che si sono accumulati hanno compromesso, in maniera strutturale, la salute delle persone e quella delle acque dei nostri territori». Ferrara cita la banca dati sulla depurazione, ferma da più di 15 mesi. La consultazione del sito della Regione fa emergere un black out ancora più lungo: il report sui fanghi di depurazione nelle province è fermo all’ottobre 2018. Insomma, se un cittadino volesse farsi un’idea per conto suo su come vengono impiegate le risorse avrebbe serie (se non insormontabili) difficoltà.
La nota di Laura Ferrara aiuta anche in un altro senso a capire quali siano stati i cambiamenti nel settore. Negli anni scorsi, la Regione ha sottoscritto due protocolli investigativi di collaborazione con le Procure di Castrovillari e Vibo Valentia: i tecnici sono stati utilizzati come ausiliari di Polizia giudiziaria per avere accesso agli impianti e segnalare gli interventi da mettere a punto. Le “visite ispettive” sono servite anche a verificare i finanziamenti erogati dalla Regione ai Comuni e controllare se i lavori realizzati avessero o meno consentito di superare le emergenze. È, questo, uno dei fulcri del sistema: senza monitoraggio e controllo non c’è verso di mettere a norma gli impianti e superare le procedure di infrazione. L’attività svolta è finita in un dossier consegnato – nel giugno 2019 – alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti. Il lavoro svolto sul campo ha permesso di limitare la frequenza di reati ambientali. E di accertare parte delle criticità che hanno impedito, per anni, la corretta depurazione delle acque reflue: sversamenti incontrollati di liquami (alcuni causati da by-pass negli impianti, altri erano causati dal loro malfunzionamento), assenza di manutenzione sui depuratori, mancato smaltimento dei rifiuti prodotti costituiti principalmente da fanghi di depurazione. È un piccolo compendio di ciò che non funziona nel settore, al quale si accompagnavano anche gli interventi pensati per risolvere i problemi. Dall’aprile del 2020 quella task force impegnata in prima linea sulla mala depurazione non esiste più. La data coincide con la “scomparsa”, segnalata da Laura Ferrara, degli aggiornamenti sulla Banca dati regionale della depurazione. Potrebbe essere soltanto un caso, o forse no. Resta da capire a chi sia stato affidato il lavoro di monitoraggio che aveva permesso di individuare le criticità e far progredire i lavori sugli impianti. (2. Continua)
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Contratti al ribasso, fanghi nascosti ai controlli e impianti pronti a “esplodere”. I trucchi della maladepurazione
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