Anche in questi primi giorni di agosto, si continua a parlare, sui mezzi di informazione e sui social media, della questione delle Terme Luigiane e della ‘presunta’ querelle tra i Comuni di Acquappesa e Guardia Piemontese e la società S.A.TE.CA. Le chiedo, dunque, di ospitare questo mio breve contributo per favorire la piena e corretta formazione dell’opinione dei lettori e dei cittadini sulla vicenda. Voglio, preliminarmente, precisare (sul piano metodologico) che non ho da porre (a differenza di altri) domande ad alcuno: né all’Assessore Fausto Orsomarso – il quale ha, del resto, nel corso della vicenda, già avuto modo di prospettare la posizione della Regione Calabria – né a chicchessia. Mi atterrò ai fatti ed agli atti perché la pubblica opinione deve formarsi su elementi oggettivi e non su rappresentazioni di parte, spesse volte dettate da non meglio precisati interessi. Ed i fatti sono i seguenti.
L’azienda di cui si parla ha gestito – fattispecie unica nell’Europa continentale – un compendio termale per oltre 80 anni: dico compendio, non a caso, perché “Terme Luigiane”, al contrario di come spesso viene narrato, non è solo sorgente termale ma anche aree su cui insistono immobili, fabbricati, spazi verdi, etc.
I beni facenti parte del compendio “idrotermale” (così nell’iniziale concessione) si trovano in uno stato di degrado tangibile e visibile a chiunque abbia tempo e voglia di verificare con i propri occhi.
Questo stato di degrado – in assenza di interventi dalla notte dei tempi – stride con gli obblighi contrattuali (eviterò, volutamente, di annoiare il lettore con termini legali) ma è in linea con gli “interessi” della società: tal ultima, infatti, ha, da molto tempo, costruito un nuovo stabilimento fuori dall’area di compendio ove esercitava tutte le attività: si tratta, per intenderci, dello stabilimento frequentato, per ragioni diverse s’intende, sia dalle centinaia di migliaia di lavoratori della società, sia dall’incalcolabile numero di clienti, utenti e turisti della stessa.
I Comuni di Acquappesa e Guardia Piemontese sono rientrati in possesso dei propri beni e delle correlate sorgenti termali, in concessione, soltanto nello scorso mese di febbraio 2021, faticosamente e dopo un’apprensione coattiva degli stessi caratterizzata, come ricorderanno i Suoi lettori, da comportamenti, gesti ed atti degni della Commedia ridicolosa di seicentesca memoria. Al netto del solito refrain sulla mancata pubblicazione del bando e delle asserite incapacità dei Comuni, il lettore ben comprenderà che è alquanto difficile avviare una procedura di gara – la cui complessità è dettata, in prima battuta, dalla natura e dalla peculiarità dei beni – di un compendio abbandonato (perché inutilizzati ed inutilizzabili sono la gran parte degli edifici) e devastato (perché gli immobili si presentano con coperture sfondate, porte marcite e con vegetazione da fare invidia alla savana tropicale) e del quale non si è in possesso perché ‘occupato’ da un gestore che, capricciosamente, pretende di esserne ancora il sub concessionario o, addirittura, il “proprietario”, come affermato, durante quelle frenetiche operazioni, da taluno in preda, evidentemente, ad un lapsus freudiano.
I Comuni, di conseguenza, hanno pubblicato un avviso di pre-informazione il cui iter è in corso in condizioni di piena concorrenza, non sussistendo alcuna legge che obblighi (si indichi la fonte contraria) di concedere, in precario, la gestione del compendio (distrutto) e delle sorgenti termali (che anch’esse necessitano di interventi manutentivi) sino al “subentro del nuovo sub-concessionario” e, financo, per la durata ed il prezzo imposti dalla società.
Un iter, quello avviato dai Comuni, perfettamente in linea con la vigente concessione regionale giacché alcuna morosità è ascrivibile agli stessi Enti (forse nell’inadempimento è incorso qualche altro soggetto giuridico) e, dunque, alcuna decadenza può essere dichiarata nei confronti degli stessi. Questi i fatti, confermati dagli atti che sono pubblici e facilmente consultabili, al pari delle innumerevoli azioni giudiziarie proposte dalla società nei confronti dei Comune avverso tutti i provvedimenti adottati da tali ultimi.
Resta, quindi, la questione del “prezzo” su cui la società ha costruito la sua bella ‘favola’. Il “prezzo” che tanto fa storcere il naso a tutti gli attori dell’azienda privata (amministratori, soci, consulenti, migliaia di lavoratori, clienti, utenti, turisti e qualche politico in carenza di ossigeno elettorale) non è frutto di alcun “mercato” – che talaltri tentano, invece, da mesi di allestire – ma discende, banalmente, dell’applicazione delle norme, di diverso rango, vigenti in questo Paese ed è stato determinato sulla base di un documento istituzionale elaborato dalla Conferenza delle Regioni in ragione di parametri oggettivi. Parametri che, nel caso di specie, tengono conto delle prestazioni erogate in convenzione dal Sistema sanitario regionale (oltre 2.000.000,00 di euro per l’anno 2020) e del fatturato dell’azienda (oltre 5.000.000,00 di euro), in un momento in cui anche la tanto deprecata Regione Calabria ha contribuito a dare sollievo a queste aziende, erogando un contributo a fondo perduto di circa 130.000,00 euro. Il “prezzo”, inoltre, rispetto a questi ultimi numeri è assolutamente irrisorio e, per la stagioni 2021, è addirittura molto inferiore al citato contributo di € 130.000,00 che l’azienda privata riceve dalla Regione Calabria. Tutto qui.
Si chiede, in sostanza, il giusto compenso per lo sfruttamento, da parte dei privati, di risorse pubbliche, peraltro limitate: una “richiesta”, quella dei Comuni che, probabilmente, appare agli altri così distonica per il contesto calabrese sì da rappresentarla come una ‘foglia di fico’ e descrivendo una realtà che non esiste, proprio come nelle favole. Ma le favole, come quelle di Esopo, nascondono sempre una morale e, una di queste, in particolare, ci insegna che la cupidigia porta a perdere anche ciò che si possiede.
*avvocato e socente di Diritto Amministrativo S.S.P.L. “F. Gullo” – Unical
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