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L’azienda lucana “protetta” dal referente dei clan reggini e l’estorsione al cantiere “sbagliato”

Tra le carte dell’inchiesta il rapporto tra i fratelli Parisi, la Pa.E.Co. S.r.l. e Emilio Angelo Frascati, intermediario delle cosche

Pubblicato il: 10/08/2021 – 7:15
di Giorgio Curcio
L’azienda lucana “protetta” dal referente dei clan reggini e l’estorsione al cantiere “sbagliato”

REGGIO CALABRIA Il rapporto strettissimo tra alcuni imprenditori lucani e uno dei più importanti referenti della ‘ndrangheta del territorio Reggino. È quanto sono riusciti a ricostruire gli inquirenti nell’inchiesta “Mercato Libero” condotta dalla Dda di Reggio Calabria e che ieri ha portato all’arresto di quattro persone – due in carcere e due ai domiciliari – e all’interdizione di cinque aziende. 

Il tentativo di estorsione

L’episodio chiave – riportato nell’ordinanza firmata dal gip – risale all’agosto del 2017, quando l’azienda lucana Pa.E.Co. S.r.l., gestita dagli indagati fratelli Parisi, è impegnata nei lavori di realizzazione delle golene del Torrente Sant’Agata tra la Superstrada Jonica e la zona Sud della città di Reggio Calabria, per un importo di 3 milioni e 240 mila euro. Il cantiere però finisce nel mirino delle richieste estorsive di Gaetano Tomaselli, considerato dagli inquirenti organico alla cosca di ‘ndrangheta Libri, e finito in carcere nell’inchiesta “Mercato Libero”. La ricostruzione dell’episodio è avvenuta grazie alla denuncia-querela presentata dal responsabile di cantiere dell’impresa, ma anche attraverso le testimonianze dirette degli operai del cantiere, già a partire dal 5 agosto del 2017

«Per oggi prendetevi il fresco» 

L’episodio unanimemente ricostruito riguarda, in particolare, l’arrivo sul cantiere di di due uomini alla guida di un ciclomotore, proveniente dalla strada di accesso del quartiere Modena. Uno di loro, una volta avvicinatosi agli operai, avrebbe detto «per oggi prendetevi il fresco e avvisate il geometra “Vito” di avvertire l’impresa che andasse a parlare con chi deve parlare», specificando inoltre come il cantiere fosse stato sotto il loro controllo da diversi mesi.  Sarà proprio uno degli operai, avvicinatosi ai due uomini minacciosi sopraggiunti sul cantiere, a riconoscere il volto di Gaetano Tomaselli. Una chiara richiesta estorsiva di carattere tipicamente mafioso, con un riferimento esplicito – secondo l’accusa – alla necessità di rivolgersi al referente locale della ‘ndrangheta per poter “continuare” l’esecuzione dei lavori in una porzione di territorio controllata dai clan. E i lavoratori sul cantiere, una volta ricevuta la richiesta, non hanno potuto far altro che spegnere i mezzi e sospendere i lavori per timori di ritorsioni. Salvo poi denunciare l’episodio ai carabinieri. 

Il potere dei Libri

Il quartiere, infatti, ricade nel quartiere Modena di Reggio Calabria, territorio controllato dalla cosca Zindato-Borghetto, ricompresa nella cosca più ampia dei Libri di Cannavò, un potere e un controllo già ricostruito attraverso le inchieste “Alta Tensione” e poi “Testamento”. Il legame di Gaetano Tomaselli con la cosca Libri era già emerso nell’operazione “Teorema-Roccaforte”. In quella circostanza l’uomo era stato accusato di associazione mafiosa, ma anche estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per gli inquirenti lo stesso Tomaselli era strettamente legato al boss Pasquale Libri e al genero Filippo Chirico. Già in occasione del decesso del boss Libri, infatti, è stato lo stesso Tomaselli a preoccuparsi di contattare altri soggetti. 

Il blasone criminale di Frascati

Quello che Tomaselli non ha considerato, però, è il legame tra i fratelli Parisi, il geometra della Pa.E.Co. S.r.l., Vito Cocchiareale, e suo cugino Emilio Angelo Frascati, figlio dell’imprenditore Antonino Frascati, già condannato per mafia. Sarà proprio lui ad intervenire per “difendere” i fratelli Parisi e mediare dopo la richiesta estorsiva. È il 10 novembre 2017 quando gli inquirenti captano le conversazioni di un incontro avuto tra lo stesso Frascati, i fratelli Francesco e Vincenzo Parisi e Vito Cocchiareale, nella sede della Pa.E.Co. S.r.l. a Garaguso. La visita in Basilicata si era resa necessaria per discutere del tentativo di estorsione subito, ma anche della vendita di un escavatore effettuata da Frascati a favore della società, del rapporto lavorativo del cugino dopo lo stop alle attività a causa del sequestro del cantiere nel torrente Sant’Agata effettuato dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Reggio, risalente al 25 ottobre 2017 dopo aver riscontrato la presenza di «un deposito incontrollato di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, ed R.S.U. e per l’omessa predisposizione del piano di lavoro per lo smaltimento di materiale in cemento amianto». Nel corso dell’incontro – così come è riportato nell’ordinanza del gip – è lo stesso Frascati a non fare mistero del suo “blasone”, raccontando una serie di episodi in cui la sua caratura e il suo peso criminale all’interno delle dinamiche delle cosche gli hanno permesso di fronteggiare, già in passato, alcuni tentativi di estorsione. Come quella di un certo Giovanni, di cui gli chiede conto proprio Cocchiareale. «Scusa un attimo.. quell’animale invece?», chiede Cocchiareale al cugino che risponde: «Giovanni? È diventato tutto una pecorella!» «No, gli ho detto io.. ma non c’era bisogno che vi scomodavate, non c’è stato niente».

«Dovevo denunciare. C’è di mezzo la Dia»

«Comunque ragazzi, là e proprio un altro mondo guarda» è una delle prime e più emblematiche frasi captate dagli inquirenti nel corso dell’incontro e a pronunciarla è Francesco Parisi.  Ma è altrettanto emblematico il tentativo di giustificazione da parte di Vincenzo Parisi, per aver coinvolto le forze dell’ordine dopo la richiesta di estorsione. «Mo io dovevo denunciare – racconta a Frascati – per una serie di motivi… perché si aspettavano che andavo da qualcuno. Ti immagini io dopo, il giorno dopo, ti chiamavo e ti dicevo “oh,  sto venendo giù” (…) perché lì c’è di mezzo la Dia, te lo dico io». Parisi, secondo gli inquirenti, avrebbe evitato volentieri di rivolgersi alla forze dell’ordine, preferendo invece rivolgersi a Frascati sperando nei noti “aggiustamenti interni” grazie ad un suo intervento e al suo ascendente criminale, temendo invece di essere intercettato dagli inquirenti che avrebbero potuto smascherare il loro tentativo di di mediazione. Una denuncia, dunque, che non deriva dalla fiducia nella giustizia ma dal timore di essere coinvolto nella vicenda e in dinamiche evidentemente troppo grandi per l’imprenditore. (redazione@corrierecal.it)

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