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«La Calabria brucia: per l’indifferenza di noi calabresi» – VIDEO

«Percorro in auto la strada di crinale del Monte Reventino, la mia “montagna di casa”. Dopo poche decine di minuti dacché è passato il fuoco. Nell’atmosfera nebbiosa e surriscaldata, sfila sui lat…

Pubblicato il: 12/08/2021 – 8:05
di Francesco Bevilacqua*
«La Calabria brucia: per l’indifferenza di noi calabresi» – VIDEO

«Percorro in auto la strada di crinale del Monte Reventino, la mia “montagna di casa”. Dopo poche decine di minuti dacché è passato il fuoco. Nell’atmosfera nebbiosa e surriscaldata, sfila sui lati quel che resta del bosco. Un bagliore color rubino sul nero del legno carbonizzato mi colpisce sulla destra. Blocco l’auto e scendo per osservare meglio. Un alto pino brucia a mezza altezza. Il fuoco si è ricavato una nicchia nel cuore del fusto resinoso: prosciuga la linfa, disintegra la carne, brucia l’anima dell’albero. Con un gesto di pura pietà la squadra che è con noi pompa dell’acqua in quella cavità ardente, come per ricomporre una salma prima che venga esposta al pianto dei congiunti. Intenso fumo nero si sprigiona dalla ferita che sfrigola. Era uno dei tanti alberi che un esercito di centinaia di uomini e donne dei paesi del Reventino piantarono negli anni ’50 del ‘900 per risanare le piaghe che l’uomo aveva inferto alla montagna nei secoli.

Ecco, non voglio immaginarli così, invece, i giganteschi pini di Acatti, i faggi e le querce pluricentenarie della Valle Infernale, pure loro assediati dal fuoco in questi giorni. Contigue l’una all’altra, nel cuore dell’Aspromonte, quelle foreste hanno rappresentato per me, da sempre, le più maestose comunità arboree dell’intera Calabria: più dei pini loricati del Pollino, più dei pini larici della Sila, più degli abeti bianchi delle Serre. Erano le nostre sequoie, i nostri dei incarnati. Voglio credere che la loro imponenza, la loro altezza, la loro forza si siano fatte beffe delle fiamme, li abbiano salvati. Il cuore mi dice che li rivedrò, un po’ anneriti forse, ma vivi.
Che strano sogno ho fatto stanotte! Assistevo ad un consiglio dei ministri in cui si diceva: “i calabresi incendiano la Calabria? E noi lasciamoli fare. Così imparano!” Che non sarebbe poi tanto sbagliato, se non fosse che un governo – statale o locale che sia – ha l’onere di proteggere, comunque, i territori ed i cittadini, per quanto questi ultimi non lo meritino. Sono così duro perché non c’è dubbio che la Calabria la stiamo bruciando noi calabresi. Non tutti i calabresi ovviamente. Ma di certo sono calabresi i tanti che giocano a fare i contadini e i pastori – avendo dimenticato gli antichi saperi di entrambe le categorie – e che credono di poter scherzare impunemente col fuoco: “pulisco un poco”, e giù con l’accendino; “ho tutto sotto controllo”, e poi una folata di vento e l’incendio parte. E calabresi sono i piromani che appiccano fuoco per una forma di psicopatia o solo come ritorsione verso un vicino, un’amministrazione, un parco, una categoria di persone, il governo, il mondo intero. Non crederò a tutte le altre ipotesi – pur legittime – di grandi congiure di ‘ndrangheta, società private appaltatrici del soccorso aereo, centrali a biomasse sino a che un procuratore non avrà portato a termine un’inchiesta. Credo invece a quel che vedo: due giorni fa, mentre al mattino presto salivo verso il Reventino incendiato, nell’apocalisse di fumo che ricopriva l’abitato di Platania, un signore che decespugliava nella sua proprietà, aveva un bel fuoco acceso che, a suo dire, teneva sotto controllo: ho dovuto mandargli i carabinieri.
Dunque è con noi stessi che, innanzitutto, dobbiamo prendercela: quando mai ci siamo sentiti davvero custodi dei nostri territori, dei paesaggi, delle bellezze naturali? Sfregiamo ogni giorno il bello della Calabria come degli stalker, come degli stupratori. Quando mai abbiamo sorvegliato (parlo della grande maggioranza dei calabresi) sugli sfregi quotidiani alla nostra terra? La verità è che siamo drammaticamente indifferenti: “Odio gli indifferenti – scriveva Antonio Gramsci -. Credo che vivere voglia dire essere partigiani.” Ho visto migliaia di calabresi indifferenti nient’affatto partigiani, stesi a prendere il sole sulle spiagge della Calabria falsa e posticcia, mentre alle loro spalle la Calabria vera, quella della Storia, andava in fumo. Ho visto migliaia di idioti impilare legna nei falò di San Lorenzo e spingere nel cielo le lanterne infuocate mentre sulle cime delle montagne le fiamme volavano alte e sinistre. Forse avevano ragione, nel consiglio dei ministri del mio sogno, a lasciarci bruciare, senza soccorsi aerei, senza esercito. L’indifferenza è una malattia cattiva e stupida. Ci vogliono cure da cavallo per eradicarla da un corpo sociale. Non è mai stato inventato un vaccino. È una malattia endemica, un’epidemia infinita, in Calabria. Determinata da secoli di soprusi e di lotte inani, certo. Ma ora siamo adulti, con entrambi i piedi nella post-modernità, senza più alibi.
Sono solo, nella mia casa, dopo una notte agitata, piena d’incubi. Mi consolano gli uccelli, con il loro canto, sulle querce tutt’intorno. Dal Reventino non arriva più fuliggine. Ora è il tempo di spegnere i fuochi. Ma appena passata l’apocalisse, ci sarà un altro fuoco, più grande e difficile da placare: quello della nostra e altrui indifferenza».

*Avvocato e scrittore

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