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Nuove rotte per la coca e affari post Covid, così la pandemia ha cambiato (anche) la ‘ndrangheta

La strategia «attendista» dei clan. Le mire sul controllo del credito. I traffici dei narcos nei Balcani. Le mafie al tempo del Coronavirus

Pubblicato il: 18/08/2021 – 6:59
di Pablo Petrasso
Nuove rotte per la coca e affari post Covid, così la pandemia ha cambiato (anche) la ‘ndrangheta

LAMEZIA TERME La pandemia ha cambiato tutto. Anche la ‘ndrangheta. Sono le mafie in generale a essersi adattate a un contesto caratterizzato da più fasi: una «attendista», alla quale seguirà un’offensiva che la Commissione parlamentare antimafia considera un vero e proprio «attacco allo Stato». Espressione forte, contenuta nella “Relazione sull’attività delle mafie durante l’emergenza Covid”, firmata dal gruppo di lavoro guidato da Paolo Lattanzio (Pd).

La strategia «attendista» dei clan

I clan si sono posti in un stand-by durante la crisi Covid. Una fase attendista, che «si caratterizza per una sostanziale fase di riposizionamento e rafforzamento, gestiti attraverso operazioni sostanzialmente non rumorose e non troppo appariscenti, con quella che è stata definita dal direttore della Dia, Maurizio Vallone, come una fase di “mascheramento e trasformazione”».
Il dossier non può trattare l’argomento in maniera esaustiva. Si tratta di un work in progress nel quale però vengono citate alcune indagini significative: Malefix, The Shock e Habanero a Milano, Background ad Ancona, Helios a Reggio Calabria e anche l’inchiesta della Guardia di finanza di Prato sulla fornitura di mascherine dell’11 giugno 2020, Basso Profilo a Catanzaro, Cupola 2.0 a Palermo, Kossa a Catanzaro, Lockdown in tutta Italia. E altre sono «ancora in corso», e su di esse «è indispensabile mantenere il riserbo».
Le cosche agiscono «sottotraccia, in attesa di poter manifestare la propria forza economica in riferimento ai fondi europei e alle imprese che non riusciranno a riaprire. Dal punto di vista sociale, d’altra parte, la situazione di controllo dei territori e delle comunità sociali appare altret­tanto tranquilla e al tempo stesso solida. Anche in questo caso i clan mafiosi hanno avuto modo, all’inizio della pandemia, di ribadire il proprio prestigio e la propria capacità di raggiungere i più bisognosi, dando prova di forza e “generosità”, di tempismo e di disponibilità». Si tratta del cosiddetto «welfare mafioso di prossimità», davanti al quale sono risuonati nel corso dei mesi i campanelli di allarme di varie Procure antimafia. Un modus operandi consolidato (e, nel caso della distribuzione di cibo a Palermo, addirittura ostentato sui social network).

La creazione di un credito parallelo a quello bancario

Uno sguardo profondo, quello contenuto nell’analisi del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, per il quale «le mafie, tanto più in questa fase caratterizzata da bassi livelli di aggregazione sociale e sostan­ziale desertificazione delle città, non hanno alcun bisogno di alimentare, né tanto meno creare, tensioni sociali», riassumono i membri del Comitato. Hanno, piuttosto, «interesse ad adottare una strategia conservativa, in attesa che le opportunità offerte dalla pandemia siano ancora più chiare e macroscopiche e i rischi sanitari, legati anche alle aperture e chiusure alternate cessino». Una strategia su due livelli, che tende «dapprima a garantire sostegno e sopravvivenza a quelle categorie che non hanno beneficiato di adeguati aiuti dallo Stato» e punta «in seguito anche attraverso le acquisizioni a giocare un ruolo da vero e proprio player globale grazie anche al rafforzamento di un sistema di credito parallelo a quello bancario». La relazione sottolinea che si tratta di un «quadro fosco che aumenta le preoccupazioni in merito alla possibilità che le mafie possano prendere in mano o erogare addirittura in proprio servizi essenziali come il credito, la sanità, le forniture medicali e più in generale i beni di prima necessità». Una «strategia» che «dà conto anche della capacità organizzativa e imprenditoriale delle varie consorterie mafiose che dalla camorra alla mafia foggiana, dalla ‘ndrangheta a cosa nostra operano ormai come vere e proprie holding».

Contrastare la ‘ndrangheta attaccandone il patrimonio

È la grande disponibilità di denaro a fornire un vantaggio ai clan. E in questo la ‘ndrangheta è riconosciuta come leader tra le mafie. La strada per il contrasto è riassunta dalle parole del Direttore centrale anticrimine, il prefetto Francesco Messina: «Si deve affiancare una costante chirurgica azione ablativa dei patrimoni illeciti, per colpire le cosche nel loro punto di forza e, al contempo, nel loro tallone d’Achille: l’aggressione ai beni illecitamente accumulati incide negativa­ mente sulla forza economica delle organizzazioni mafiose e, conseguente­ mente, sulla loro capacità organizzativa, militare, gestionale, funzionale, sulle loro strategie, sulla loro stessa credibilità nel contesto socio-ambientale di riferimento». L’operazione “Habanero”, condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Milano (e culminata con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di dieci soggetti e il sequestro di beni e disponibilità finanziarie, per un importo complessivo di oltre 7,5 milioni di euro) ha mostrato «il coinvolgimento di esponenti legati alle cosche calabresi della ‘ndrangheta da tempo insediatisi in Lombardia e in Piemonte, dediti alla commissione di vari delitti, tra cui il riciclaggio, l’estorsione, i reati fallimentari, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, la truffa ai danni dello Stato, mediante infiltrazioni in varie società lombarde attive nel commercio di metalli ferrosi». Sono i fondi il vero obiettivo. E «il principale indagato aveva ottenuto, rispetto a tre società coinvolte nel sistema fraudolento, un contributo a fondo perduto correlato all’emergenza sanitaria, attestando un volume d’affari non veri­tiero mediante le false fatture connesse a operazioni risalenti all’anno precedente».

Balcani ed Europa Sudorientale: la nuova rotta della cocaina

Le frontiere dei reati spia, come quelli finanziari, si ampliano. E muta anche il contesto per i traffici classici come quello di sostanze stupefacenti. «Le limitazioni alla produzione e la temporanea chiusura delle frontiere – si legge nella relazione – non hanno impedito ai grandi narco­trafficanti di operare, essendosi loro avvalsi di nuovi e sempre più sofisticati sistemi idonei a consentire l’ingresso e l’elusione dei controlli delle Forze di polizia. È, infatti emersa, in questa seconda fase, una ripresa dei traffici illeciti, in misura maggiore con riguardo alla commercializzazione della cocaina: i numerosi sequestri di questo tipo di stupefacente, in particolare quelli operati nel porto di Gioia Tauro, provano un rinnovato dinamismo dei sodalizi mafiosi dell’area». I narcos delle ‘ndrine (e non solo) si servono di «una nuova rotta che, transitando nel bacino del Mediterraneo, si dirige verso i porti dell’area balcanica e dell’Europa sudorientale, per poi ripercorrere la rotta balcanica tradizionalmente battuta per questi traffici anche per l’eroina. La cocaina destinata in Italia continua a giungere prevalentemente via mare nei porti tirrenici soprattutto essendo più limitata la possibilità di importazione cosiddetta “a pioggia”, attese le maggiori limitazioni negli spostamenti con il mezzo aereo e i più intensi controlli».

Le zone d’ombra su miliardi messi a bando nella pandemia

Accanto ai traffici, però, ci sono i rapporti che i clan intessono da anni con quelle che vengono definite «pedine umane, ossia pezzi di burocrazia istituzionale in grado di agevolare le mafie che, secondo una definizione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, pur non commettendo reati, permet­tono di esercitare forme ora di controllo sociale ora di assoggettamento della popolazione ad una situazione di subalternità e timore». L’infiltrazione negli enti locali è per la criminalità organizzata «la modalità attraverso cui raggiungere i funzionari pubblici al fine di accaparrarsi le risorse pubbliche, rimanendo sostanzialmente invisibili e conquistando importanti partnership istituzio­nali». Sono questi legami i «responsabili di quella man­canza di trasparenza che colpisce molti frangenti della vita di cittadini e soprattutto dell’attività delle istituzioni in Italia e che costituisce un paravento eccezionale per mafie e corruzione». La valutazione si collega all’allarme per «un dato relativo all’attuale pandemia in corso: dei 14,13 miliardi di euro messi a bando, solamente 5,5 di quelli appaltati sono stati dichiarati con trasparenza in merito a filiera, soggetto aggiudicatore e così via. Senza trasparenza e adeguata pubblicità dei dati non può esserci né partecipazione né controllo sociale sulla pubblica amministrazione e sulla ricostruzione e si creano pericolose zone d’ombra». (p.petrasso@corrierecal.it)

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