COSENZA Si avvia a conclusione il processo scaturito dall’inchiesta “Sistema Rende”, che mira a far luce su presunti intrecci tra alcuni politici ed esponenti del clan Lanzino-Ruà. Imputati l’ex sindaco rendese Sandro Principe (difeso dai legali Franco Sammarco, Paolo Sammarco e Anna Spada), Umberto Bernaudo (difeso dall’avvocato Francesco Calabrò) e ancora Pietro Paolo Ruffolo (difeso dagli avvocati Franz Caruso e Francesco Tenuta) e Giuseppe Gagliardi (difeso dall’avvocato Marco Amantea).
L’accusa sostenuta in aula dal pm Pierpaolo Bruni, oggi procuratore capo a Paola ma all’epoca pubblico ministero della Dda di Catanzaro che firmò l’inchiesta, non potrà contare su alcune importanti intercettazioni contenute in un supporto informatico andato perso e dunque non utilizzabile nel procedimento. Il pm aveva tentato di arginare l’ostacolo proponendo l’utilizzo – nella prossima udienza – della trascrizione della polizia giudiziaria su supporto cartaceo. Bruni aveva anche prodotto a supporto della sua tesi due sentenze della Corte di Cassazione, ma il collegio giudicante (giudice Stefania Antico, Urania Granata e Iole Vignaa latere) ha rigettato la richiesta. I giudici, invece, hanno concesso il consenso all’escussione del collaboratore di giustizia Giuseppe Zaffonte, che sarà sentito nella prossima udienza prevista il 29 settembre 2021. Il pentito, ex rapinatore di Rende, già coinvolto nell’operazione “Factotum” è ritenuto vicino al clan Lanzino-Ruà.
Presente ad ogni udienza, Sandro Principe chiamato a rispondere alle domande del pm ha puntualmente respinto ogni accusa: «Ingerenza è un termine inappropriato» per l’ex primo cittadino, secondo il quale «la città di Rende ha sviluppato gli anticorpi necessari a combattere il malaffare» pur sottolineando come il suo ufficio fosse «meta costante di pellegrinaggio da parte delle forze dell’ordine con cui dialogavo senza alcun problema».
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