VIBO VALENTIA Hanno tentato di fargli cambiare idea in ogni modo, di convincerlo a lasciar stare quella ragazza già promessa a Gaetano Muller. Eppure Bruno Lazzaro non ha desistito, neanche dopo le minacce e l’aggressione subita da diversi esponenti del clan locale.
La Dda di Catanzaro – a sorpresa – riapre così un caso che sembrava ormai scritto, destinato a rimanere nella cronaca come un fatto di sangue risolto definitivamente. Muller, infatti, è già stato condannato in appello a 16 anni di reclusione. Nel frattempo altre storie si sono intrecciate con l’omicidio del giovane Lazzaro avvenuto il 4 marzo del 2018, dettagli e indizi che hanno prima spinto i fascicoli del caso alla Direzione investigativa antimafia di Catanzaro, poi alla raccolta di ulteriori indizi e dettagli e che hanno portato all’emissione di 8 avvisi di garanzia. E, soprattutto, a delineare lo scenario dentro al quale s’è consumato quello che sembrava “solo” un delitto passionale: quello ‘ndranghetistico.
Per la Dda, dunque, l’omicidio sarebbe un “disegno” ordito ai danni di Lazzaro dalla ‘ndrina Emanuele, inserita nel “Locale di Ariola” attiva nelle preserre vibonesi e, in particolare, nei territori di Gerocarne, Vazzano, Soriano Calabro e Sorianello.
Così nel mirino degli investigatori sono finiti il 46enne Gaetano Emanuele considerato al vertice insieme al fratello Bruno dell’omonimo clan e padre della ragazza contesa, Marianna. C’è poi la mamma, Angela Vono di 41 anni, Luca Ciconte, 29enne già noto alle forze dell’ordine e ritenuto legato al clan Soriano di Pizzinni di Filandari, già condannato nel processo “Nemea”; il 56enne Franco Idà, di Gerocarne, ritenuto come un componente del gruppo degli Emanuele; Michele Idà, 24), di Soriano; Giovanni Alessandro Nesci, 31 anni, di Soriano; Antonio Raffaele Pisani, 23enne di Soriano e Domenico Zannino, 32enne di Sorianello.
Una storia travagliata, dunque, un amore che per i giovani appartenenti alla ‘ndrina non dove esistere, punto e basta. Secondo l’accusa, infatti, gli indagati, in più di una circostanza da maggio 2017 fino alla morte del giovane avvenuta a marzo 2018, avrebbero cercato di convincere Bruno Lazzaro ad interrompere la relazione con Marianna Emanuele. Una relazione «non gradita» agli Emanuele anche perché la giovane era già fidanzata con Gaetano Muller, cugino della vittima.
In una circostanza, Luca Ciconte, Michele Idà e Domenico Zannino – su mandato di Gaetano Emanuele, Franco Idà e Angela Vono – avrebbero aggredito Bruno Lazzaro, causandogli un trauma che ha interessato l’avambraccio sinistro della vittima; poi lo avrebbero minacciato e istigato ad andarsene addirittura dalla Calabria, rivolgendogli (secondo l’accusa) una serie di minacce per la sua incolumità fisica.
Lazzaro dapprima, spaventato, obbedisce a quell’ordine mafioso ma poi non resiste e riprende i contatti con Marianna Emanuele. E così, contravvenendo agli ordini degli esponenti del clan Lazzaro fa rientro in Calabria.
Un ritorno che gli esponenti della ‘ndrina non gradiscono affatto, e così si sarebbero organizzati per «dare una lezione» a Bruno Lazzaro. Su ordine di Gaetano Emanuele, Franco Idà, Angela Vono e Domenico Zannino, i tre Gaetano Muller, Raffale Antonio Pisani e Michele Idà avrebbero prima attirato fuori dalla sua abitazione lo stesso Lazzaro, poi lo avrebbero portato a casa di Pisani.
Una volta arrivati, però, per Bruno ha inizio l’incubo che lo condurrà alla morte. La discussione nata dal “chiarimento” si trasforma presto in un’aggressione fino a quando Muller lo colpisce con un pugnale.
Dopo l’accoltellamento, gli indagati – secondo l’accusa – avrebbero prelevato il corpo del cugino, ancora ferito, lo avrebbero caricato sulla Golf di Pisani e trasportato a casa della mamma di Marianna Emanuele, Angela Vono. I soccorsi, però, sarebbero stati chiamati troppo tardi. Fino alla morte di Bruno Lazzaro. (redazione@corrierecal.it)
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