Joe Biden non cede al pressing del G7: le truppe Usa si ritireranno definitivamente da Kabul il 31 agosto come previsto, né un giorno di più né un giorno di meno. Sono bastati sette minuti al presidente americano per spegnere ogni velleità di rinvio da parte degli altri leader, collegati tra loro in video per l’atteso vertice presieduto dal premier britannico Boris Johnson.
Del resto l’enorme rischio di un ulteriore deterioramento della situazione nella capitale afghana è sotto gli occhi di tutti, con il governo talebano che dopo l’ultimatum delle ultime ore ha affermato a chiare lettere che non permetterà più l’ingresso nell’aeroporto Hamid Karzai agli afghani che intendono fuggire.
«Ora basta andare via. Abbiamo chiesto agli americani di non incoraggiarli, ci servono le loro competenze», le parole del portavoce della milizia islamica Zabihullah Mujahid nel corso di una conferenza stampa che con una tempistica non certo casuale ha preceduto di poco l’inizio del summit dei sette. La decisione di sbarrare l’accesso all’aeroporto agli afghani molto probabilmente è stata anticipata dal leader dei talebani Abdul Ghani Baradar al capo della Cia Williams Burns, nella notte inviato in gran segreto a Kabul dal presidente americano per negoziare i termini della ritirata.
A prevalere alla Casa Bianca come al tavolo del G7 alla fine è stata la linea imposta dai vertici civili e militari del Pentagono, contrari a un proseguimento della missione, visto anche il rischio terrorismo rappresentato dalla minaccia dell’Isis. E con oltre 5.000 marines ancora sul posto. Ma, per venire incontro alle istanze degli alleati, Biden li ha assicurati di aver chiesto sempre al Pentagono la messa a punto di piani di emergenza, pronti a scattare se per un motivo o per un altro sarà necessario restare in terra afghana anche dopo fine agosto. Cosa in realtà non del tutto peregrina (come sottolineano diversi osservatori) visto che a Kabul ci sono ancora migliaia di americani da evacuare: molti tra le 4.500 persone accalcate in aeroporto e in attesa di imbarcarsi, altri in città. Anche se le autorità Usa non sono in grado di fare un conto preciso, escludendo d’ora in poi altre operazioni di ‘salvataggio’ fuori del perimetro dello scalo. Nel comunicato del G7 si prende quindi atto della situazione.
Ai talebani viene chiesto di garantire «un corridoio sicuro» a tutti quelli che vorranno partire anche dopo il 31 agosto, afghani compresi. Conditio sine qua non, questa, per avviare qualunque tipo di dialogo tra l’Occidente e i nuovi governanti di Kabul, con la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen che ha chiarito come al momento il riconoscimento del nuovo governo afghano non sia assolutamente in discussione. Johnson ha quindi sottolineato come il G7 abbia «enormi leve» per condizionare i talebani dopo il ritiro. Talebani ai quali i sette leader inviano un chiaro monito: sarete ritenuti responsabili per tutto quello che accadrà in Afghanistan sul fronte del terrorismo e dei diritti umani, a partire da quelli delle donne e di coloro che sono nel mirino per aver collaborati negli ultimi 20 anni con le forze Usa e quelle alleate.
La necessità di dirottare sugli aiuti umanitari le risorse che erano destinate alle forze militari in Afghanistan è stata quindi sottolineata da Mario Draghi: «L’Italia lo farà», ha detto, sottolineando come il G20 può aiutare il G7 a coinvolgere altri Paesi come la Russia, la Cina, l’Arabia Saudita, la Turchia e l’India.
«Il presidente del G20 Draghi sta pianificando un’iniziativa nel quadro» di questo formato «e anche noi pensiamo che occorra parlare con altri membri della comunità internazionale per dare un messaggio molto forte», ha commentato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
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