LAMEZIA TERME C’è stato un tempo in cui alla foce del Mesima, il fiume che corre al confine tra la provincia di Vibo e la Piana di Gioia Tauro, le acque erano limpide. Dal monitoraggio di quell’area – tra gli osservati speciali per le Procure che si occupano del caos della depurazione in Calabria – dipende la qualità delle acque in un tratto di costa che va da Nicotera (litorale tra i più in crisi) e San Ferdinando. Il Mesima era già un osservato speciale nel 2017, e anche prima. Per questo il dipartimento regionale Infrastrutture, lavori pubblici e mobilità della Regione pensò di affidare al Corap un progetto sperimentale. L’idea era quella di posizionare alcune barriere filtranti nell’alveo del fiume per bloccare i residui che, attraverso il corso d’acqua, arrivano a mare. Funzionò. Le foto che vi mostriamo sono tratte dal blog pinobrosio.it e raccontano per immagini quell’idea che rese migliore una stagione estiva che altrimenti sarebbe stata complicata come quella che i bagnanti vivono quest’anno. Il fiume raccoglie gli scarichi di 28 Comuni, molti dei quali hanno sistemi di depurazione non proprio efficienti (in alcuni casi è un eufemismo). Grazie alla collaborazione tra Unical e Regione Calabria, a circa 400 metri dalla foce del fiume furono create due barriere filtranti in legno e pietrame.
Distavano tra loro circa 70 metri – una a Nord del viadotto che collega il Vibonese col Reggino e l’altra a Sud, segnala ancora il blog – e il loro compito era quello di rallentare la velocità del flusso d’acqua e abbattere la concentrazione di inquinanti grazie a un trattamento biologico e a un monitoraggio costante. Quell’idea era pensata per essere estesa anche ad altre aree dell’alveo fluviale. Un percorso sperimentale – vista la piega presa dal mare negli ultimi anni – interrotto.
Al capezzale di uno dei grandi malati dell’ambiente in Calabria è giunta anche l’Arpacal, che ha effettuato un monitoraggio puntuale della foce con l’ausilio di un drone e tecniche innovative. È un lavoro che il management dell’Arpacal – il direttore generale Domenico Pappaterra e il direttore scientifico Michelangelo Iannone – ha affidato al geologo Luigi Dattola del Centro regionale geologia e amianto. La ricognizione con il drone è soltanto il primo (per quanto faticoso) passaggio: c’è da risalire il fiume, evitando ostacoli – fisici o meteorologici – e aree interdette, e poi riversare l’enorme quantità di materiale in un software, Metashape, che elabori gli scatti per trasformarli in ortofoto. Ne servono più di 200 per costruire un modello in 3D che sia attendibile.
L’ortofotografia è una fotografia aerea che è stata geometricamente corretta e georeferenziata: l’obiettivo del lavoro è quello di ottenere una scala di rappresentazione uniforme, che rendo lo scatto equivalente a una carta geografica. Nella sede Arpacal di Castrolibero, Dattola ricostruisce in un modello tridimensionale i letti dei fiumi. Il lavoro evidenzia, per il Mesima, la presenza di grosse quantità di rifiuti, soprattutto pneumatici, nell’alveo. Alcuni tratti somigliano alla discarica di uno sfascia carrozze. Il colore delle acque – ma è soltanto un’impressione visiva, non basata su indagini tecniche – non promette nulla di buono. «Abbiamo trovato prevalentemente rifiuti da demolizione – spiega Dattola –: pneumatici, auto, inerti, eternit. Tante microdiscariche vicine al letto del Mesima. La situazione del fiume Oliva (monitorato, in passato, dalle inchieste sui presunti stoccaggi illeciti delle navi dei veleni, ndr) è meno grave, anche se va detto che il corso d’acqua scorre quasi tutto coperto dalla vegetazione».
Lo studio sul Mesima è confluito in un report (firmato da Dattola con la collaborazione dei ricercatori Alberto Belvedere e Luciano Minutolo) che tiene conto anche dei rilievi termici (sempre realizzati dal drone). Il risultato è che «nell’area indagata si è rilevata la presenza di rifiuti spiaggiati e smaltiti in prossimità dell’alveo, lungo gli argini e all’interno dell’alveo medesimo (pneumatici). Nessuna anomalia termica osservata può essere ricondotta allo sversamento abusivo di liquami in alveo; si deve segnalare, tuttavia, che le condizioni ambientali al contorno non hanno consentito voli completamente efficaci per il rilevamento delle anomalie termiche». Insomma, non è detto che lo sversamento di liquami non sia presente, ma è un aspetto sul quale i ricercatori ovviamente non si esprimono.
Di certo c’è che – tra segnalazioni dei vacanzieri e rilievi scientifici – il Mesima non appare in salute. Al punto che l’amministrazione comunale di San Ferdinando ha proposto di sbarrare il deflusso al mare delle sue acque, provocando la reazione del Wwf Calabria, che giudica l’intervento «non risolutivo e dannoso per l’habitat naturale della foce del fiume». Gli ambientalisti hanno minacciato il ricorso alle carte bollate e diffidato Comune, assessorato regionale all’Ambiente e Calabria a non realizzare un’operazione «sgangherata e dannosa, assolutamente non risolutiva» perché, così facendo, «vengono sbancate le dune e danneggiato il delicato habitat naturale, con modifica dell’aspetto morfologico dell’asta fluviale e di quello estetico nonché con l’inevitabile compromissione di quello ecosistemico, impattando sulle forme di vita animale e vegetale che popolano il fiume».
Sarebbe un errore anche secondo i tecnici che hanno osservato per anni la situazione della foce. I liquami, infatti, finirebbero per ristagnare e una piena anomala potrebbe spingerli comunque verso il mare con effetti ancora più dannosi di quanto già non avvenga. In realtà l’esperienza sul campo del 2017 e gli studi dell’Arpacal dimostrano che le strategie per affrontare il problema ci sono già. E possono accompagnare l’attività della magistratura, che ha già avviato un lavoro di controllo sugli scarichi abusivi e sulla funzionalità dei depuratori. Si può intervenire anche se le cure saranno lunghe. Il Mesima è malato ma può ancora essere guarito. E come il Mesima anche gli altri fiumi calabresi oggetto di scarichi indiscriminati. (5. Fine)
1. Contratti al ribasso, fanghi nascosti ai controlli e impianti pronti a “esplodere”. I trucchi della maladepurazione
2. Centinaia di milioni per ripulire il mare e la task force cancellata dalla Regione. La nebulosa della maladepurazione
3. Maladepurazione, la mappa delle emergenze: 22 interventi segnalati da un anno (e mai effettuati)
4. Impianti dimenticati e interventi rifinanziati. Il caos della depurazione è (anche) nella destinazione dei fondi
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