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l’intervista

Ricadi, “Estate a Casa Berto”. Il ricordo della figlia Antonia

Lungo confronto risalente al 2014 insieme don Pasquale Russo, parroco emerito di Ricadi e memoria storica del mandamento di Tropea

Pubblicato il: 08/09/2021 – 11:27
di Bruno Gemelli
Ricadi, “Estate a Casa Berto”. Il ricordo della figlia Antonia

Dopo il lockdown riapre “Estate a Casa Berto”. La casa dello scrittore si trova a Ricadi sul viale che porta al faro di Capo Vaticano. Nel settembre 2014 andai a intervistare Antonia Berto, sua figlia, che all’epoca viveva a Washington. Mi accompagnarono la collega Concetta Schiariti e don Pasquale Russo, parroco emerito di Ricadi. Quest’ultimo è la memoria storica del mandamento di Tropea e custode del pensiero bertiano, declinato in tutta la sua eredità culturale.

Qui di seguito l’intervista completa.

Signora Antonia i suoi ricordi.

Antonia Berto – «Io ero piccola quando mi padre è venuto giù cercando un posto».
Come fu l’impatto?
AB – «Mio padre e mia madre si sono fermati a Capo Vaticano, ma prima ancora hanno conosciuto alla stazione di Tropea Aldo Barone».
Chi era Aldo Barone?
Don Pasquale Russo – «Aldo Barone era un giovane che viveva alla stazione di Ricadi perché suo padre era il capo stazione, e si rendeva disponibile per chi arrivava a Ricadi e voleva conoscere il territorio».
Un tour operator ante litteram.
AB – «Un giovane tour operator, esatto. Che disse a miei genitori: non potete non vedere Capo Vaticano»
Perché la scelta di venire al Sud?
AB – «Mio padre aveva fatto il servizio militare in Sicilia, poi era ritornato di nuovo. Amava il Sud e cercava di arrivare in Sicilia, e invece si è fermato qui. Una volta che Aldo li ha portati qui, si sono innamorati di Capo Vaticano».
Suo padre cambiò itinerario.
AB – «Sì, non volle continuare nell’isola, e quindi hanno deciso di fermarsi qui».
Dove ci troviamo adesso.
AB – «Sì, il terreno l’hanno comprato da Nicola La Sorba che voleva vendere tutto per fare la dote alla figlia che si doveva sposare. Così è cominciata la storia di Capo Vaticano».
Cosa c’era?
AB – «Non c’era strada, non c’era acqua, non c’era niente, e io non so quanti anni dopo sono venuta qui».

Dove stavate?
AB – «In tenda. All’inizio c’era un signore che portava l’acqua con l’asino, stavamo con le candele. Ma era veramente bello».
Isolati.
DPR – «Allora c’erano solo il faro e il semaforo».
Don Pasquale cos’è il semaforo?
DPR – «Una struttura militare che faceva segnalazioni con le bandiere, per la navigazione aerea e marittima».
AB – «Al faro pare ci fossero tre famiglie».
Una era sicuramente quella del farista don Pippo Benedetto, un grande personaggio.
AB – «Mio padre e mia madre sono sempre tornati e poi piano piano è stata fatta la strada, l’acqua è arrivata tanti anni dopo».
Suo padre era solo?
AB – «No, mio padre ha portato degli amici tra cui Virgilio Sabel».
Il regista?
AB – «Si, e poi Prandino Visconti, Teo Usuelli. Di tutti questi amici, Virgilio c’è rimasto perché ha comprato un pezzo di terra per quanto potesse venire giù perché era impegnato con i suoi film. Però è venuto sempre, tutti gli anni».
Gente di cinema.
DPR – «Anche Visconti ha comprato, a Santa Maria, poi ha venduto».
AB – «Era lunga la strada per arrivare in Calabria e io soffrivo la macchina. Partivamo il pomeriggio tardi da Roma, ricordo si passava da Lagonegro. Attraversavamo paesi bellissimi, mi ricordo vagamente. Era un bel viaggio, ma era lontano e tanti amici di papà non potevano venire. Virgilio invece ha fatto la prima casa: ricordo che raccoglievamo l’acqua piovana dentro un pozzo e poi la pompavamo dentro casa. Lì era una novità. C’erano pochissime case, nulla a che fare con oggi».
Suo padre è venuto sempre. È morto a Roma ed è seppellito qui.
AB – «Prima si è adattato. Questa casa papà l’ha fatta, mi pare, tra il 1967 e il 1968 ed ha messo il riscaldamento, così ha passato anche dei periodi invernali altrimenti venivamo verso la fine di maggio e rimanevamo fino … diciamo un po’ dopo l’inizio delle scuole. E l’anno che ha scritto “Il male oscuro” siamo rimasti più a lungo. Io sono andata a scuola a San Nicolò, facevo la terza elementare. Siamo tornati a Roma a novembre. Io mi sono divertita ad andare a scuola qua».
Qui ha scritto altri romanzi?
AB – «Lui qui ha scritto “La Gloria”, o per lo meno parte, e poi altre cose».
Questo luogo è stato fonte d’ispirazione.
AB – «Ha sempre amato Capo Vaticano, si è sempre battuto per una Calabria … ».
Cosa gli piaceva in particolare?
AB – «Io penso che gli piacesse un po’ tutto. Lui non è venuto qui per restare isolato e lontano dalle persone che vivono qui o dalla cultura del posto. C’erano tante persone che gli volevano bene, credo che si sia sentito parte di questo posto e si battuto tanto, prima per un buon turismo in Calabria e poi chissà se non si sia pentito quando ha visto…».
La cementificazione?
AB – «Si è battuto contro la speculazione, contro l’abusivismo, contro tutto quello che si vedeva nascere. Questa è una costa splendida e quindi si sarebbe potuta avere un turismo di qualità che avrebbe potuto portare più denaro alla Regione, alla Provincia, soprattutto a Capo Vaticano»
DPR – «Diceva che il turismo di massa ti può dare l’impressione che arricchisce ma poi ti rovina il territorio; e quindi era contrario a quel tipo di impostazione che era stato dato allo sviluppo turistico».
Don Pasquale, lei quando ha conosciuto Berto?
DPR – «Io sono venuto parroco a Ricadi nel 1965, però prima ero a Drapia, io sono di qua; io l’ho conosciuto ai primi anni ’60, poi siamo diventati amici, ci siamo frequentati, io insegnavo alla scuola media a Ricadi e l’ho coinvolto in alcuni incontri con gli alunni. Più tardi ho insegnato a Tropea al liceo scientifico e anche allora mi aiutato in un incontro con i ragazzi».
In che occasione?
DPR – «Quando lui ha scritto “La gloria” abbiamo parlato molto a lungo perché era una lettura particolare del Vangelo di Giovanni, ma i ragazzi di quinta ginnasiale volevano conoscerlo e si sono interessati. Allora lui mi ha dato una copia del manoscritto de “La gloria” e io l’ho letto con i ragazzi e l’abbiamo commentato, poi lui si è prestato a un
confronto, e c’era presente un altro scrittore, Castellaneta … ».
Carlo Castellaneta?
DPR – «Sì, proprio lui. Abbiamo fatto un incontro tra scrittori e alunni. Ricordo che è stata una cosa simpatica».
Signora Antonia, sono conservati qui le cose di suo padre, carteggi e quant’altro?
AB – «Un po’ qui, un po’ a Roma. Qui ci sono libri, un sacco di traduzioni. Mia madre ha passato tantissimo tempo qui, purtroppo in questo momento è a Roma perché non sta bene da qualche mese, sennò passava mesi e mesi a Capo Vaticano. Qui che ha lavorato, ha raccolto articoli, le critiche cinematografiche, il libro delle fotografie che ha fatto. Sì, c’è tanto materiale qui».
C’è una fondazione?
AB – «Beh la fondazione è a Mogliano Veneto, il comune dov’è nato mio padre, e per tanti anni c’è stato un gemellaggio con Ricadi. Il premio è durato … quanti anni Pasquale?»
DPR – «Ventiquattro».
Il Premio Berto per giovani scrittori?
DPR – «Sì, che si faceva un anno a Ricadi e un anno a Mogliano Veneto. L’ultima edizione si è fatta nel 2010. Poi ci sono stati problemi, a Mogliano è andata su la Lega al Comune, anche qui le difficoltà economiche del nostro Comune».
E la Regione Calabria?
DPR – «In un primo tempo c’era stato un interessamento della Regione Calabria che per alcuni anni aveva sostenuto il Premio Berto, anche la Regione Veneto. La Regione Calabria aveva fatto una legge triennale che poi non ha aggiornato, e quindi il Comune di Ricadi non ce la faceva più a sostenere i costi del Premio Berto; ma credo soprattutto che il problema sia legato alle politiche delle amministrazioni che hanno subito dei traumi. Del resto le politiche culturali non hanno fortuna da nessuna parte».
Signora Antonia per questo centenario cosa si sta facendo?
AB – «Ci sarà un congresso a Padova ai primi di dicembre, poi saranno ripubblicati alcuni libri di mio padre e quest’altro anno c’è in programma di rifare il Premio cominciando dal Veneto, da Mogliano. È stata fatta l’Associazione amici di Giuseppe Berto».
DPR – «Il presidente è Cesare De Michelis».
Il fratello di Gianni De Michelis?
DPR – «Sì, il fondatore della Casa editrice Marsilio, insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova e dirige la rivista Studi Novecenteschi. Lui è il motore di queste iniziative per il centenario, lui è stato molto attento a Berto e alle sue opere. Ha ripubblicato molte delle opere di Berto».
AB – «Alcune adesso usciranno con la BUR, poi mia mamma ha pubblicato con Monteleone di Vibo Valentia una raccolta di articoli … ».
Lui era anche giornalista.
AB – «Monteleone ha anche pubblicato le “Critiche cinematografiche” nel 2005».
DPR – «La rivista “Rotosei” aveva dato l’incarico a Berto di fare una rubrica, e lui fece delle recensioni che erano dei racconti».
Qualche aneddoto della permanenza a Capo Vaticano?
AB – «Mio padre quando stava qui aveva sempre … ».
Come passava le giornate?
AB – «Lavorando. Costruiva muretti, case. Aveva persino iniziato a costruire un sentiero che portava a mare, sotto la punta; poi si è dovuto fermare perché era troppo arduo. E poi non era un tempo da spiaggia».
In che senso?
AB – «Veniva al mare il tardo pomeriggio, faceva un po’ di tuffi, faceva le scalette, oppure veniva a Grotticelle, facevamo il bagno, poi risaliva e si metteva a scrivere».
Non era né tipo da spiaggia né eremita.
AB – «Assolutamente no. Qui c’è stata sempre tanta gente, tanti amici. Ma a lui piaceva disegnare la casa, lavorare con i mastri. Infatti ho tante foto, che gira con la carriola … con il cappellone di paglia».
Veniva descritto come un musone che viveva in solitudine.
AB – «Mio padre aveva un grandissimo senso di humor, era molto divertente».
DPR – «L’ironia è stato il leitmotiv delle sue opere, una costante anche nel suo modo di porsi. Però era molto rispettoso delle persone. All’inizio della sua permanenza qui a me sembrava timido come persona, aveva una certa di ritrosia ad accostare le persone, tanto che persone pensavano che lui si desse delle arie. All’inizio lo consideravano un nordista che viene a colonizzare qua. Poi lui ha avuto contatti con i contadini, con i vicini, è entrato in comunione con il territorio».
AB – «Io mi ricordo il capo guardia con Michele Gramuglia e Muzzupappa, Agostino Pantano che andava a caccia, a pesca … ».
Suo padre andava a pesca?
AB – «Non ci andava. Mia madre andava a pesca di surici».
Si spostava da Capo Vaticano per visitare la Calabria. L’ha esplorata?
AB – «Quando girarono il film “Il Brigante” andarono a San Giovanni di Fiore, non mi ricordo di aver fatto gite ma andavamo a Palmi perché aveva amici, oltre Repaci, … ».
DPR – «Era amico di Mario La Cava, andava a Polistena ad Oppido, lo chiamavamo quando c’erano manifestazioni culturali».
AB – «Poi andavamo a Vibo Valentia perché era amico del giudice Tassone».
Lei parla di Francesco Tassone che con Nicola Zitara fondò il Movimento Meridionale?
AB – «Sì. Ero contenta quando veniva il giudice Tassone perché aveva una figlia della mia età. Poi avevo tanti amici, ragazze e ragazzi».
Su padre conosceva Raf Vallone?
AB – «Sì, si conoscevano».
DPR – «Negli anni ’70 Quaderni Calabresi (fondato da Tassone e Zitara n.d.r.) ha avuto grande successo e Berto ha fatto una conferenza sul ruolo di scrittore che ha fatto molto successo, “Impegno e disimpegno”, poi pubblicata sulla rivista. Ma la cosa più ignificativa fu quando prese un’iniziativa tra il sociale e il politico che il Comune di Ricadi aveva dato l’incarico a un certo architetto Tomasuolo di Roma di redigere un piano di fabbricazione. E l’aveva fatto a Roma su una carta geografica militare del 1925. Berto si arrabbiò e disse, “questo non ha mai visto la Calabria”; si mise a contestare questo piano di fabbricazione, e abbiamo fatto un manifesto (quello che si vede nella foto n.d.r.), eravamo in quattro: Berto, il giudice Tassone, io e Artesi, un’insegnante di qua. Berto ha voluto iniziare con una frase di Mao Tse-tung, che invitava a prendere consapevolezza, a domandarsi il perché delle cose. E poi ha invitato la popolazione in un locale per discutere di quest’argomento. In quell’occasione fece una lunga lettera alla Gazzetta, che pubblicò, in cui spiegava tutte le circostanze che l’avevano spinto a prendere quest’iniziativa».
E il piano che fine fece?
DPR – «Affossato».
AB – «Adesso vado a prendere il manifesto».
Questo dimostra che la vita sociale la viveva.
AB – «Sicuramente. Ha partecipato sempre, tante lotte per l’acqua. E poi sulla speculazione edilizia che già affiorava nel 1978».
DPR – «Aveva la preoccupazione di tutelare il territorio, di mantenere la sua bellezza. A lui sembrava molto evidente che c’era un avvio verso a cementificazione. Quando si pensò di fare l’università in Calabria – si diceva facciamola a Lamezia, di qua, di là – lui ha proposto di farla sui piani di Zaccanopoli perché lì c’è una visione bellissima di Tropea, di tutto quanto il golfo di Lamezia, un posto molto panoramico, ma soprattutto voleva che fosse mantenuto su questo territorio il carattere che era originario della civiltà contadina che lui vedeva in qualche modo scomparire, ma che ammirava moltissimo nelle componenti architettoniche, e la casa è una eco, ma anche nei modi di comportarsi, di vivere, di parlare, di pensare delle persone. Quindi lui è entrato nel vivo della realtà di questo luogo. Queste lotte hanno avuto un eco sulle nuove generazioni, nei movimenti ambientalisti. Un’eredità importante di Berto».
In Veneto com’era vista questa scelta di vivere al Sud?
AB – «Prima si è trasferito a Roma, la nostra base era lì. Non lo so. Mi padre ha sempre frequentato il Veneto, è sempre andato a trovare le sue sorelle. Aveva un forte legame con le sue origini, però la nebbia …».
DPR – «Aveva un forte legame con Andrea Zanzotto, aveva legami affettivi e culturali. Era molto legato alla Fondazione Cini di Venezia, frequentava Cortina d’Ampezzo come luogo di riposo nel periodo invernale».

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