LAMEZIA TERME Un «piano progressivo» che mira a superare quello che è il campo rom di Scordovillo a Lamezia Terme. La dismissione, dunque, è il primo obiettivo individuato dalla Prefettura di Catanzaro nel corso dell’ultimo incontro, attraverso un contributo per interventi di recupero ambientale e di integrazione sociale pari a 500mila euro. Il tema legato al più grande campo rom del Sud Italia, nato nel cuore della città di Lamezia alcuni decenni fa, è dunque di strettissima attualità. Lo è da tantissimi anni, ma ancora di più dopo i rogo del 14 luglio e l’ultimo blitz coordinato dalla Dda di Catanzaro.
Un argomento tanto importante quanto troppo spesso strumentalizzato. Al punto da offuscare quelli che sono stati i percorsi virtuosi compiuti in questi anni, ma poi prontamente bloccati per ragioni ancora non del tutto chiare. E tra i protagonisti c’è senza dubbio don Giacomo Panizza, fondatore della Comunità Progetto Sud, da decenni impegnato nella realizzazione di progetti legati al sociale. «I percorsi di integrazione con la popolazione di etnia rom sono stati interrotti – precisa subito al Corriere della Calabria – tanti (5 o 6) cominciati e tutti poi dismessi. O per umore, o carenza di soldi, per paura o forse per decidere di non decidere». «Parlo ad esempio dell’integrazione scolastica. L’abbiamo cominciata negli anni ’80, c’ero anche io con la Caritas insieme all’associazione “La strada”, un’esperienza interrotta dal Comune e che consisteva nell’accompagnamento dei bambini e le bambine nelle scuole elementari. È durato, a singhiozzo, per qualche anno. Poi quando c’è stato il convincimento e la partecipazione di molte plessi scolastici, il Comune ha interrotto il progetto, bloccandolo». «Poi la pandemia ha peggiorato tutto e la “mortalità” scolastica è tremenda, aumentando l’operazione dell’utilizzo dei più piccoli per le attività illegali».
E, a proposito, di integrazione don Giacomo Panizza ha le idee molto chiare e punta il dito contro chi, in questi anni, ha puntualmente tagliato i ponti a progetti cruciali e di successo: «A Lamezia avevamo avviato l’attività della raccolta dei rifiuti porta a porta, con i giovani tra i 16 e i 21 anni circa. Un progetto che voleva dire integrazione, aiutare i giovani a lavorare ed entrare nelle case, a suonare alla porta dei cittadini, prendendo via solo i rifiuti e non altro». «Il progetto – ha raccontato al Corriere della Calabria – fatto di mesi di attività di integrazione, a un certo è stato fermato con la Multiservizi e il Comune è stato fermo, senza capire che quella era una vera operazione di integrazione oltre che attività lavorativa. Noi abbiamo con la cooperativa alcuni giovani per la gestione del parcheggio dell’ospedale e attività di giardinaggio in città ma con numeri nettamente inferiori rispetto al passato».
Poi, a proposito dell’ennesimo finanziamento, don Panizza è perentorio: «Sono fiducioso, ma solo se capiranno questa lezione: non saranno i soldi a risolvere tutto, ma l’integrazione, il ché significa che alcune cose le fa lo Stato, altre la società e tante altre gli abitanti del campo rom. L’integrazione non avviene certo con il telecomando». «Non c’è da chiedere fondi, ma fondi da utilizzare perché con la Prefettura avevamo già pensato di svuotare il campo rom, lasciando solo una baracca come ricordo, e trasformarlo in un parco giochi per bambini. Ma tra cambi di prefetto, la successione di diversi sindaci e i vari commissari che hanno poi guidato il Comune, hanno fatto vincere il “non decidere”. La speranza va legata allo scommettere sulle attività di integrazioni e non i soli pensieri». (redazione@corrierecal.it)
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