“Mentre continuiamo a riprenderci da questa tragedia, sappiamo per certo che non c’è nulla che l’America non possa superare. I semi del caos, piantati quel settembre da coloro che desideravano ferirci, sono fioriti invece in campi di speranza per un futuro più luminoso”: Joe Biden cerca di infondere ottimismo proclamando l’11 settembre “Giorno nazionale di preghiera e ricordo” in occasione del ventennale degli attentati di Al Qaida alle Torri Gemelle e al Pentagono, e di quello fallito contro Capitol Hill. Sarà il primo anniversario senza la guerra in Afghanistan lanciata poche settimane dopo contro la rete di Osama bin Laden (e i talebani che l’avevano ospitata), la più lunga della storia americana. Ma con l’ombra del caotico ritiro deciso da Biden, che la prossima settimana sarà sotto i riflettori del Congresso con la prima audizione del segretario di Stato Antony Blinken. Fu un attacco inimmaginabile ai simboli del potere finanziario e militare dell’America, un colpo senza precedenti alla democrazia americana e a quella di tutti i Paesi occidentali, che si riverbera sino ad oggi, con la crisi afghana. “Atti codardi nati da un odio perverso” che hanno “cambiato la nostra nazione per sempre”, ha ammesso il presidente, sottolineando che 20 anni dopo quel “giorno di terrore, i traumi, il dolore e la ricerca di giustizia – sia personale che collettiva – perseguitano ancora i nostri ricordi”. Insieme alle immagini di quella tragedia che le tv continuano a riproporre in speciali, documentari, interviste: aerei che trapassano grattacieli, fumo che oscura il cielo, torri ridotte a polvere, feriti in fuga, eroi tra le fiamme. Biden promette che le 2.977 vittime “non saranno mai dimenticate”, insieme alla “stessa tenacia con cui noi difendiamo i valori americani che sono la radice della nostra forza”. E invita a riflettere sulla libertà e la tolleranza, “parte del nostro carattere americano”. Un anticipo delle parole che pronuncerà sabato, quando insieme alla first lady visiterà sotto imponenti misure di sicurezza tutti e tre i memoriali degli attacchi dei dirottatori, come fece Barack Obama nel 2011 per il decimo anniversario dell’11/9: il memoriale di Ground Zero, dove crollarono le Torri gemelle sventrate da due aerei, quello di Shanksville in Pennsylvania, dove precipitò il volo diretto contro il Campidoglio grazie alla rivolta dei passeggeri, e il Pentagono, bersaglio di un quarto velivolo. La vicepresidente Kamala Harris e il marito parteciperanno invece ad un evento separato a Shanksville, prima di raggiungere la first couple al memoriale della Difesa. Tutta l’America si fermerà per ricordare, con cerimonie, preghiere, fiaccolate, rintocchi di campane, concerti come il Requiem di Verdi al Met con 500 posti riservati ai famigliari delle vittime. I media americani non mancano intanto di rimarcare le ombre di questi 20 anni, dopo i quali peraltro sempre più americani pensano che il Paese sia cambiato in peggio e sia meno sicuro, secondo un sondaggio del Washington Post: il fallimento dell’intelligence per non aver saputo sventare gli attentati, i ritardi di un processo a Guantanamo alla mente degli attacchi che non decolla dopo tanti anni, i pantani militari in Afghanistan e in Iraq con le torture nel carcere di Guantanamo e in quello di Abu Ghraib, la crescita del razzismo e dell’islamofobia di cui fece le spese anche Obama, il trionfo sul web delle teorie cospirative (a partire dal crollo delle Torri Gemelle), la perdita di fiducia nelle istituzioni che demagoghi come Donald Trump hanno usato per minare la democrazia, realizzando paradossalmente l’obiettivo di bin Laden di dividere e indebolire l’America con “i semi del caos”. Non ultima la crescente minaccia del terrore domestico di estrema destra, che in questo periodo ha ucciso più persone dei jihadisti basati negli Usa (114 contro 107, secondo uno studio) e ha violato con l’assalto al Congresso quel tempio della democrazia che neppure i dirottatori di Al Qaida erano riusciti a colpire.
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