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“Basso Profilo”, la Cassazione rigetta i ricorsi di Glenda Giglio e del finanziere D’Alessandro

Restano ai domiciliari e in carcere l’ex presidente dei giovani industriali di Crotone e l’ex luogotenente del Goa di Catanzaro

Pubblicato il: 15/09/2021 – 8:14
di Alessia Truzzolillo
“Basso Profilo”, la Cassazione rigetta i ricorsi di Glenda Giglio e del finanziere D’Alessandro

ROMA La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dai legali di Glenda Giglio, 41 anni, ex presidente dei giovani industriali di Crotone – difesa da Salvatore Staiano – ed Ercole D’Alessandro, 66 anni, ex finanziere – difeso da Valerio Murgano e Alfredo Gaito. Entrambi sono imputati nel processo nato dall’inchiesta “Basso Profilo” della Dda di Catanzaro. Ed entrambi resteranno, rispettivamente, agli arresti domiciliari e in carcere in seguito al rigetto della Suprema Corte.

Glenda Giglio

Glenda Giglio si trova i domiciliari con l’accusa di di concorso esterno in associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso e varie ipotesi di trasferimento fraudolento di valori aggravate dal metodo mafioso.
Secondo i giudici di merito «la Giglio, che era responsabile degli acquisti e direttore tecnico dell’aeroporto di Lamezia Terme, nonché dipendente dell’istituto di vigilanza diretto dal marito, si sarebbe attivata a favore dell’associazione a delinquere diretta da Antonio Gallo in almeno due occasioni: a) per assicurare la bonifica degli uffici dell’impresa del Gallo, sottoposta ad indagine da parte della Guardia di Finanza, reperendo e fornendo la strumentazione tecnica necessaria all’individuazione delle “cimici” apposte dagli investigatori; b) per favorire la creazione delle compagini societarie attraverso cui l’associazione criminale realizzava i propri fini illeciti (in particolare, dopo una perquisizione del maggio 2018 Giglio Glenda prese contatti col notaio Guglielmo in vista delle creazione di numerose società, le cui quote ed amministrazione vennero affidate a prestanomi albanesi). I reati sarebbero stati aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa perché Antonio Gallo, promotore e regista dalla società a delinquere “semplice”, era, a suo volta, organicamente inserito nelle cosche calabresi che fanno capo ai Ferrazzo e Grande Aracri» di Cutro.

Le tesi della difesa demolite dagli ermellini

Secondo le tesi difensive è stato violato il diritto di difesa poiché non sono state tempestivamente poste a disposizione della difesa sei intercettazioni ambientali, ritenute decisive, captate a mezzo spyware, nonostante l’avvocato ne avesse fatto richiesta, il pubblico ministero avesse autorizzato il rilascio di copia in data 4 febbraio 2021 e avesse delegato, all’uopo, la Dia competente, la difesa non venne messa in condizione di accedere alle registrazioni. Secondo la Cassazione «il primo motivo è manifestamente infondato» poiché «questa Corte ha da lungo tempo chiarito che è legittima l’applicazione di misura cautelare personale fondata su esiti di intercettazioni allegati alla relativa richiesta in forma sommaria, non essendo necessaria l’allegazione né dei decreti di autorizzazione, né dei risultati integrali dell’attività captativa».
Con la seconda tesi difensiva si deduce «l’incompatibilità logica e l’inammissibilità giuridica del concorso esterno nel reato di associazione a delinquere “semplice”». La Suprema Corte per prima cosa specifica che «è concorrente esterno, per tale giurisprudenza, colui che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’“affectio societatis”, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione». Nel caso della Giglio, scrivono gli ermellini, «la Giglio si è prestata a supportare l’associazione diretta dal Gallo in un momento di particolare difficoltà della stessa, consentendole di superare le criticità dovute all’iniziativa degli organi di polizia giudiziaria, sia col bonificare l’ufficio del Gallo – costituente, praticamente, la sede dell’associazione – sia col favorire il ricambio nella titolarità e nell’amministrazione delle società utilizzate dal sodalizio per l’attuazione del programma delinquenziale. Un contributo significativo e determinante dato, appunto, da un soggetto che era privo di affectio societatis e non partecipava alla vita dell’associazione, ma che si è rivelato decisivo per la “salute” del sodalizio e, verosimilmente, per la sua sopravvivenza».
La difesa, poi, «lamenta l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione posta a base delle ritenute esigenze cautelari».
Ma secondo la Corte di Cassazione sono tesi «non meritevoli di accoglimento» anche perché «la presunzione la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari è stata logicamente collegata» all’aggravante mafiosa contestata in relazione ad unici reati fine. Secondo i giudici Glenda Giglio sapeva perfettamente che «la struttura criminale da lei favorita servisse a garantire, oltre agli interessi personali degli adepti e quelli dell’associazione stessa, gli interessi dei gruppi criminali con cui Gallo si rapportava». Pertanto «il ricorso, proposto per motivi in parte infondati e in parte inammissibili, va rigettato», sentenziano gli ermellini.

Ercole D’Alessandro

Ercole D’Alessandro è un ex luogotenente del Goa di Catanzaro, che è stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere «in relazione alle contestazioni di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione (abuso d’ufficio, corruzione, turbative d’asta), aggravata dalla finalità mafiosa e di altri, numerosi reati». Secondo l’accusa «con Gallo ed altri sodali, Ercole D’Alessandro avrebbe formato un’associazione a delinquere dedita al condizionamento di attività imprenditoriali nel settore antinfortunistico e dei servizi di pulizia da intraprendere in Albania, con l’aiuto delle cosche cui Gallo si riferiva e per vantaggi comuni». La Corte di Cassazione ritiene infondato il ricorso

La figura di Gallo e i rapporti con D’Alessandro

Preliminarmente la Suprema Corte ripercorre le fasi delle indagini che partono dalla figura di Antonio Gallo «che vari collaboratori di giustizia (Danieli, Mammone, Miararchi, Liperoti, laquinta) indicano come “affiliato”, intraneo sia alla cosca di Nicolino Grande Aracri che, successivamente, come emerso dalle intercettazioni, al gruppo criminale dei Trapasso e dei Bagnato: di Gallo si segnala la “intraneità” mafiosa, puntando l’attenzione sulla sua partecipazione a riunioni organizzative dei sodalizi; sulla sua conoscenza e sui rapporti personali con i “capi” delle cosche (ai quali era solito offrire regali in occasioni di festività) e sulla sua possibilità di interloquire direttamente con loro; sulla sua attenzione spasmodica a conoscere di indagini che lo riguardassero».
Tratteggiata la figura di Antonio Gallo, il provvedimento impugnato ha ripercorso il sorgere dei suoi rapporti con il finanziere, individuato dai Brutto (padre e figlio) – imprenditori e politici conoscenti di Gallo – come soggetto “utile” alla comune causa affaristico-mafiosa, poiché, per la sua posizione di sottufficiale del Goa di Catanzaro, poteva riuscire a monitorare notizie essenziali su indagini in corso a carico dello stesso Gallo, già coinvolto nell’inchiesta “Borderland”, in relazione alla quale era stato indagato. «Dalle numerose intercettazioni registrate – scrivono gli ermellini –, che vedono coinvolto anche, e molte volte, direttamente l’indagato, in conversazioni dalla disarmante chiarezza dei contenuti, si rivela il pieno coinvolgimento di questi (D’Alessandro, ndr) negli affari di Gallo e, man mano che cresceva il rapporto confidenziale tra i due, creatosi in seguito al “contatto” dei fratelli Brutto, la vera e propria “messa a disposizione” del ricorrente per conto dell’imprenditore partecipe di disegni mafiosi, nonché la sua consapevolezza del ruolo e della figura di questi». Secondo i giudici, il contesto mafioso in cui si muove Gallo è conosciuto da Ercole D’Alessandro «che ne parla esplicitamente in alcune conversazioni intercettate».

«Forte spregiudicatezza nell’agire»

«Tanto chiarito – concludono i giudici –, nella fattispecie sottoposta al Collegio, qualsiasi sia il prisma interpretativo alla luce del quale si intenda leggere la motivazione del provvedimento impugnato in punto di esigenze cautelari, essa garantisce una buona tenuta alla verifica. La distanza temporale tra la cautela e i fatti è stata parametrata alla gravità delle condotte ed alla ritenuta “forte spregiudicatezza nell’agire” da parte del ricorrente, alla sua “assenza di scrupoli” nel relazionarsi con soggetti vicini alla ’ndrangheta, in particolare di Antonio Gallo, del quale pure gli era nota la possibile caratura criminale». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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