REGGIO CALABRIA Il segretario Nuccio Azzarà lo aveva annunciato nel corso della conferenza stampa dello scorso 10 settembre e così è stato. Al Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria va in scena il sit-in organizzato da Uil per fare luce su cause e responsabilità dell’emergenza nella struttura reggina. Il blocco dei ricoveri a fronte della carenza di mezzi e personale hanno spinto il sindacato a rendere palesi le perplessità in primis nei confronti della struttura commissariale regionale e in secondo luogo nei confronti di tutti gli enti preposti. Una situazione prevista lo scorso 2018, ancora prima dell’emergenza Covid, eppure non scongiurata. La parola, oggi, passa alle persone che si sono riunite in protesta davanti al nosocomio reggino. «Per gli ammalati quello che faccio lo faccio con tutto il cuore, ma non è giusto trattare gli infermieri in questa maniera: siamo dei professionisti, non siamo degli stronzi» dice un’infermiera della struttura. «Nessuno ci tutela, tutti fanno finta di non sentire». Rivendica le indennità promesse e mai arrivate oltre ai disagi patiti dalla categoria con l’avvento dell’emergenza pandemica.
«Non hanno trasferito nessuno – aggiunge – non hanno mandato nessuno. Siamo 24 pazienti e due infermieri, uno di Toracica e uno di Vascolare. Non è possibile lavorare così».
«Con questa manifestazione pacifica, a favore di questo punto di riferimento che abbiamo in città, non abbiamo potuto evitare di parlare il linguaggio della verità» esordisce Nuccio Azzarà, segretario Uil, tra i promotori dell’iniziativa. «Questo – aggiunge – è un ospedale che ha bisogno urgentissimo di forze nuove, energie e professionalità mediche, infermieristiche e tecniche. Questa è la priorità».
Azzarà punta il dito contro i presunti responsabili dei disagi nella struttura: «Bisogna mettere gli accenti giusti su un problema che non si può ignorare e lo dico chiaro: bisogna subito intervenire».
In questo senso, l’esponente Uil individua il 118 come punto di intervento prioritario. «Non è possibile arrivare in un pronto soccorso dove non c’è un medico disponibile. Non è possibile continuare a lavorare con ambulanze che hanno 700mila chilometri. Al di là dei proclami che lo vendono come un’eccellenza, bisogna dire che se si continua su questa linea noi, questo ospedale, rischiamo di chiuderlo». La ricetta principale è supportare il personale: «Anche sua Santità il Papa è dovuto recentemente ricorrere ad una struttura pubblica ed ha pubblicamente detto che con tutta probabilità che è stato salvato da un’infermiera». (f.d.)
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