REGGIO CALABRIA Con un volo proveniente dal Portogallo, ha fatto rientro in Italia Francesco Pelle (conosciuto come Ciccio Pakistan), già latitante di massima pericolosità inserito nel programma speciale di ricerca del Ministero dell’Interno, condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole di omicidio aggravato dalle finalità mafiose in danno di Maria Strangio, classe ‘73 (la cosiddetta “strage di natale del 2006”, la cui risposta della consorteria avversaria ė la successiva “strage di Duisburg” del 2007). Era latitante dal giugno 2019, quando, poco prima della sentenza della Corte di Cassazione che ne decretò la condanna definitiva, fece perdere le sue tracce.
Le attività di Polizia Giudiziaria hanno beneficiato dei canali di cooperazione internazionale attivati dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con l’assistenza tecnica del progetto I-Can, una rete internazionale interforze a contrasto di una delle mafie più pericolose al mondo, la ‘Ndrangheta.
I carabinieri del Reparto operativo reggino, collaborato dai colleghi del Gruppo di Locri e della Compagnia di Bianco, nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, nelle persone del Procuratore Giovanni Bombardieri, del Procuratore Aggiunto Giuseppe Lombardo e del Sostituto Procuratore Alessandro Moffa, riuscirono a seguire le tracce del latitante e, in ultimo, lo localizzarono nella penisola iberica, dove è stato arrestato in una struttura ospedaliera lusitana.
La strage di Natale era stata la risposta al tentato omicidio di Francesco Pelle, consumato il 31 luglio 2006 quando Ciccio Pakistan rimase ferito alla schiena perdendo definitivamente l’uso delle gambe. La sedia a rotelle sulla quale è costretto a vivere non gli ha impedito di diventare un boss, organizzare la rappresaglia contro la cosca Nirta-Strangio e, soprattutto, di darsi alla latitanza per due volte.
La prima fu interrotta nel 2008 da un blitz del Ros di Reggio Calabria all’epoca guidato dal colonnello Valerio Giardina e dal maggiore Gerardo Lardieri. Mentre tutti gli davano la caccia, Ciccio Pakistan era ricoverato sotto falso nome a Pavia, nel reparto di neuro-riabilitazione della Clinica Fondazione Maugeri. Pelle era curato a spese del servizio sanitario nazionale e dalla sua stanza in ospedale comunicava attraverso Skype con gli uomini della cosca rimasti liberi dopo l’operazione Fehida, coordinata dal magistrato Nicola Gratteri, oggi procuratore capo di Catanzaro, allora in servizio a Reggio Calabria.
Nel settembre 2017 Pelle era tornato libero per scadenza dei termini di fase del processo alle cosche di San Luca. La sua condanna era stata annullata con rinvio dalla Cassazione. Per due anni è stato sottoposto all’obbligo di dimora a Milano in attesa della sentenza definitiva. Ma quando la Suprema Corte ha confermato la condanna, Ciccio Pakistan, non c’era più. Di nuovo latitante e sempre sulla sedia a rotelle. Questa volta la fuga è durata meno di due anni e si è conclusa all’estero, in Portogallo, dove probabilmente Pelle ha goduto di una rete di protezione che gli ha consentito non solo di uscire dal Paese indisturbato ma anche di farsi curare in una clinica dopo aver scoperto di essere positivo al Covid.
Il progetto I-Can, incardinato sotto l’egida Interpol, ha agevolato la cooperazione internazionale di polizia permettendo ad oggi la cattura all’estero di 20 latitanti di ‘ndrangheta, tra cui spiccano, a parte quello di Pelle, i nomi di Giuseppe Romeo, Vincenzo Pasquino, Rocco Morabito (secondo solo a Matteo Messina Denaro, tra i latitanti più pericolosi inseriti nella lista dei ricercati). Le recenti catture confermano, secondo gli inquirenti, la ramificazione del fenomeno criminale e la sua capacità di pervasione e diffusione internazionale. Si ritiene che fino a qualche anno addietro sarebbe stato impensabile che uno ‘ndranghetista potesse organizzare la propria latitanza in aree lontane dalle radici territoriali.
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