VIBO VALENTIA La Stidda che teneva in scacco Mazzarino è stata smantellata pochi giorni fa dalla Procura di Caltanissetta. L’operazione “Chimera” ha colpito il clan Sanfilippo e i suoi affari: dai traffici per ottenere fondi europei in ambito agricolo alle estorsioni, dalla compravendita di armi allo smercio di droga. Il business della cocaina, uno dei rami più redditizi per la cosca, passa anche dalla Calabria. L’idea di appoggiarsi a canali di approvvigionamento nasce nel carcere di Vibo Valentia, dove si trova recluso uno dei capiclan. E passa per Silvano Michele Mazzeo, 50 anni, personaggio già noto nel territorio vibonese. È uno dei protagonisti dell’operazione “Rimpiazzo”: appare nei racconti dei pentiti come uomo legato alla cosca emergente dei Piscopisani. Arrestato dall’antimafia siciliana assieme alla moglie Rosalba Vincenza Galati (per la quale sono stati disposti gli arresti domiciliari), i documenti riversati nell’inchiesta lo descrivono come «trafficante internazionale».
Mazzeo e Galati compaiono nel racconto giudiziario quando il meccanismo messo in piedi dai Sanfilippo per lo smercio di cocaina si interrompe bruscamente dopo una serie di arresti che causano al gruppo «un importante danno economico». I sequestri da una parte, i mancati pagamenti dall’altra mettono in difficoltà il clan siciliano, costretto a trovare altre strade. I «nuovi canali di approvvigionamento» vengono «individuati in Calabria» grazie a Calogero Sanfilippo, un membro della cosca recluso nel carcere di Vibo Valentia che «vantava amicizie con esponenti di spicco della criminalità organizzata locale e trafficanti internazionali di droga». Beatrice Medicea, madre di due degli uomini del clan finiti in carcere, prende in mano la situazione. È lei – è questa l’interpretazione che gli inquirenti danno dei colloqui intercettati in carcere – a trattare inizialmente con i calabresi. In un colloquio in carcere che risale al 12 luglio 2018, Giuseppe Sanfilippo e sua madre discutono proprio «dell’acquisto di una partita di sostanza stupefacente da reperire in Calabria grazie all’intercessione di Calogero Sanfilippo». I due fratelli, appuntano gli inquirenti, annoverano «tra le loro conoscenze il fornitore calabrese Michele Silvano Mazzeo, poi conosciuto anche da Beatrice Medicea e Maria Sanfilippo».
Basta un contatto telefonico per mettere gli investigatori sulla pista calabrese. Medicea, che si muove tra Sicilia e Calabria per seguire i colloqui con i figli in carcere, telefona a Rosalba Vincenza Galati. La donna la informa che Mazzeo ha espiato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Mileto. «Siccome Silvano ieri si è liberato, non ha più la sorveglianza», dice. Poi preannuncia un «giretto» a Mazzarino. I contatti sono avviati; l’ospitalità calabrese («e ti fermi a mangiare allora questa volta») è pronta ad accogliere Medicea anche prima del viaggio in Sicilia dei coniugi vibonesi. La madre dei due Sanfilippo fa riferimento a quello che i magistrati considerano un termine cifrato per definire la droga: «Ci dovevo dire a tuo marito che io mi devo prendere una macchina, c’è qualche occasione lì». «E giovedì passa che poi ne parliamo», è la risposta.
Il 19 luglio tre “messaggeri” da Mazzarino fanno tappa nell’«abitazione dei coniugi Mazzeo, con i quali si accordano per rivedersi a pranzo, dopo aver fatto visita a Calogero» Sanfilippo. Il colloquio in carcere traccia la strategia da seguire. «Calogero – riassumono gli inquirenti – impartiva alla sorella e alla madre una serie di disposizioni chiaramente finalizzate a preservare i rapporti con Michele Silvano Mazzeo, raccomandandosi di non farlo incontrare con gli altri componenti del clan, al fine di tenere riservato il proprio canale di approvvigionamento: “E non fare venire a nessuno, chi siete tu, Maria…”».
Poi dà «disposizioni alla madre e alla sorella su come dovevano essere accolti i Mazzeo, intimandole di preparare un buon pranzo e di acquistare qualche buona bottiglia di grappa». Successivamente, precisa «che le donne avrebbero dovuto dire a Ignazio (Sanfilippo, cugino che sarebbe stato presente all’incontro, ndr) di comportarsi seriamente con Mazzeo e di “parlare poco”, intendendo riferirsi al fatto che il cugino non dovesse parlare di stupefacenti».
In un altro passo del colloquio Calogero «dà indicazioni precise sul prezzo che dovranno pagare per la cocaina fornita da Mazzeo, dicendo che potrebbe variare da 35 euro al grammo a un massimo di 39 euro grammo («35?». «Quella al massimo a 39 .. , tu gli devi dire mio fratello mi ha detto cosi .. »). Il contatto con i calabresi va ben “coltivato”. Sanfilippo, infatti, si raccomanda di riservare loro una buona accoglienza: «A quel ragazzo, sono cosi però si fanno voler bene a questi le prendi in giro e li spogli… prendendoli in giro, voglio essere presi in giro…». Subito dopo, «per descrivere la caratura criminale dei suoi “amici”, Calogero riferiva chiaramente a Maria che Mazzeo riforniva anche gli spacciatori della provincia di Agrigento, dando precisa indicazioni sul prezzo praticato: “No, no … a quelli di Agrigento li ha sistemati, a quelli di Agrigento gli danno 4 .. inc .. , 40/30 e 50…».
L’incontro in Calabria non viene intercettato. Lo sono, però, i commenti del giorno successivo. Nei quali Beatrice Medicea racconta alla sorella «che i Mazzeo erano disposti a farsi carico del trasporto di stupefacente fino a Mazzarino: “Dove siamo stati ieri noi, fino in casa ce lo portano … fino a casa!”». Maria (sorella dei Sanfilippo) spiega anche «di aver fatto presente ai Mazzeo che, in quel momento, non erano nelle condizioni di potersi fare carico del trasporto dello stupefacente dalla Calabria alla Sicilia, ragion per cui Silvano si era reso disponibile a consegnare la sostanza direttamente a Mazzarino: “No, non gliel’ho detto, gli ho detto solo ‘se si può fino a sotto il culo, sì, sennò no!’ e mi ha detto ‘tu dimmi dove, ti portano tutto!’”».
Qualche giorno dopo (il 22 luglio) Mazzeo e Galati restituiscono la visita. A Mazzarino incontrano i fratelli Marcello e Liborio Sanfilippo e, secondo i magistrati, si delineano gli accordi per la fornitura di stupefacenti, accompagnati da un “pensiero” destinato dal presunto narcotrafficante vibonese a uno dei Sanfilippo in carcere.
Un altro dei passaggi chiave della trattativa tra le due sponde dello Stretto si svolge a Sulmona. È nel circuito carcerario, infatti, che nasce e si sviluppa questa storia di narcos. Nel penitenziario abruzzese, infatti, in quel periodo sono reclusi il boss Salvatore Sanfilippo e Ottavio Galati, fratello dell’ex capomafia di Mileto e «parente» di Silvano Mazzeo. Il 15 settembre, Medicea e lo stesso Mazzeo vanno a Sulmona. E appare «chiarissimo che l’incontro (…) fosse un modo per sugellare l’accordo tra le consorterie».
Iniziano così i traffici tra Calabria e Sicilia. Traffici che gli inquirenti seguiranno nel corso dei mesi. Stidda e ‘ndrangheta faranno marciare attraverso lo Stretto chilogrammi di cocaina, scegliendo i percorsi più “sicuri” e i traghetti meno frequentati dalle forze dell’ordine. Non senza qualche incomprensione: da un lato sulla qualità della merce, dall’altro su chi debba tenere i rapporti con i preziosi fornitori di Mileto. I Sanfilippo chiedono provvigioni per le forniture e non si fidano di nessuno. Neppure del loro grossista di riferimento. Gli affari, d’altra parte, sono affari. (p.petrasso@corrierecal.it)
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