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20.20 il talk

Maria Fida Moro: «Chi faceva politica aveva passione e veniva da anni di gavetta»

La figlia dello storico segretario della Dc: «Stato italiano celebra mio padre ma non lo riconosce come vittima di terrorismo». E per il Quirinale: «Draghi o Cesa»

Pubblicato il: 29/09/2021 – 6:30
Maria Fida Moro: «Chi faceva politica aveva passione e veniva da anni di gavetta»

LAMEZIA TERME «La gente può oltre le condizioni politiche se vuole. E in Calabria c’è gente straordinaria». Ospite dell’ultimo episodio del talk 20.20 in onda in steaming su L’altro Corriere Tv e sul canale 16 del digitale terreste è Maria Fida Moro, figlia dello storico segretario della Democrazia Cristiana ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978.
L’onorevole risponde alle domande di Danilo Monteleone e Ugo Floro analizzando il momento politico attuale con un occhio attento alla storia, senza sbilanciarsi in pronostici per il futuro.
Il primo ricordo è però dedicato alle origini calabresi, alla nonna materna (di Cosenza) da cui ha preso il secondo nome di battesimo e ai viaggi che i genitori le facevano fare da piccola affinché potesse conoscere tutta l’Italia. Ma non c’è pronostico quando le si chiede un commento sulle elezioni regionali ormai alle porte: «Se votassi qui voterei Pichieri (candidato sindaco di “Noi con l’Italia” a Cosenza, ndr) molto gentile nell’accogliermi». Tuttavia, immedesimandosi nel candidato governatore che verrà, Maria Fida Moro pare avere le idee chiare sul punto di partenza: «Se per sei mesi avessi la leva del potere in questa regione, la prima e unica che farei è rivolgermi ai ragazzi».

Il rapporto tra le persone e la politica

«Ogni tempo difficile che c’è dato da vivere va vissuto» dice Maria Fida ricordando una massima del padre, l’indimenticato Aldo Moro. «Ho fiducia nella gente, ma vedo un’apatia allucinante intorno a me. La gente non è entusiasmata della politica e non ha tutti i torti» sottolinea. «Tempo fa chi faceva politica non solo era appassionato ma veniva da anni ed anni di gavetta e doveva come minimo avere in tasca la tessera del partito». Sui due pesi della bilancia tra il mondo di oggi e quello andato, pur senza tradire facili nostalgie, pesa certamente il ricordo di Aldo Moro, un’icona della politica che fu. «Al tempo – aggiunge – esistevano persone che mettevano la competenza al servizio della collettività. Non c’era la rincorsa a fare i piacioni». Il mutamento sarebbe spiegato dal fatto di «non essere eletti».
«La competenza proviene dalla possibilità di imparare fin da quando si è piccoli. – ma prima ancora – Credo che la politica sia un ideale spirituale». Cita in questo senso un lavoro del figlio che ha voluto raccontare la spiritualità di Aldo Moro oltre quello che già si conosceva di lui.

Una ferita sempre aperta

«Lo Stato italiano insiste a non riconoscere mio padre vittima di terrorismo. Si celebra il 9 maggio la “giornata della rimembranza” ma non gli si accorda nessuno dei benefici previsti dalla legge. È gravissimo il pensiero che un popolo tenga sulla sua coscienza una morte così». Fa ancora male il pensiero di quella prigionia, quindi della morte. Maria Fida Moro racconta particolari ulteriori usciti dall’inchiesta, come il tempo dell’agonia del padre raggiunto dai proiettili dei rapitori. E dice di aver maturato una verità che consegnerà a futura memoria. Una verità scomoda, per ora tenuta sotto chiave «perché ho un figlio» spiega. «Mio padre – aggiunge – è stato Santo e martire, ma sono dovuta arrivare a chiedere al Pontefice di bloccare la causa di beatificazione perché ne veniva fatto uno sfregio e un’opportunità di arricchimento da parte di malviventi. Questo odio atroce nei suoi confronti fa paura. Il male per il male fa paura. Finché sono sulla terra mi batterò per papà e per la verità umana».
Sulla recente vicenda degli arresti degli ex brigatisti afferma di «non apprezzarli per il coraggio, al posto loro sarei scomparsa per non farmi più rivedere». E racconta del suo periodo di volontariato in carcere vicino ad alcuni di loro coi quali si trovò anche ad avere uno scambio «a patto che non si parlasse del caso Moro a patto che io non ne facessi cenno».
«La morte di Moro – chiosa – non era finalizzata a impedire o limitare il compromesso storico ma a creare il caos in Italia e nel resto d’Europa. Quel caos adesso comincia a traboccare».  

«Un solo essere umano può cambiare il mondo se vuole»

Il tempo scorre, tra ricordi, aneddoti e una serie di domande sulla contemporaneità tra la sentenza d’Appello nel processo sulla “Trattiva Stato-Mafia” della quale si dice «contenta», ma va oltre spiegando che «un essere umano può cambiare il mondo se vuole, come accaduto con Greta Thumberg che prima di tutti i potenti del mondo aveva anticipato l’urgenza nell’intervento». Spiazza poi il nome suggerito per il Quirinale. «Mario Draghi, ma deve continuare a fare il premier». Tolto lui, «Lorenzo Cesa, che è mio amico» dice. Corsi e ricorsi storici di un partito, la Democrazia Cristiana, che «continua ad essere punto di riferimento».
«Se però imparassero anche il metodo sarebbe fantastico», chiude Maria Fida Moro provocatoriamente. (redazione@corrierecal.it)

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