In Calabria il diritto fondamentale alla salute, riconosciuto tale dalla nostra Costituzione, viene violato da decenni.
Politicanti e politici, spesso in assenza di un programma o di una visione, utilizzano con leggerezza il tema della sanità allo scopo di ottenere consensi elettorali, senza aver cura, spesso, della sensibilità e della delicatezza con cui questo argomento deve essere trattato.
Seguaci di una facile teoria populista, senza una storia che possa testimoniare un solo ambito in cui si siano distinti per capacità o per competenza, questi personaggi tentano la scalata agli scranni dell’Assise regionale come unica opportunità per affermarsi nella vita. E mentre sono impegnati in questa frenetica e affannosa attività muovono accuse a chi, ormai lontano da ogni ambiente politico, cerca con dignità di vivere la propria condizione di “Uomo”.
Ci riferiamo all’ex Governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, animatore di masse e capopopolo indiscusso, da tantissimi considerato ancora il “Presidente”. Scopelliti, nella sua azione di Governo regionale svolta dal 2010 al 2014, ritenne prioritaria la questione “Salute dei calabresi”. Intanto, diede attuazione al Piano di rientro che aveva ereditato dal suo predecessore, peraltro imposto dal cosiddetto “Tavolo Massicci”, nel 2009, anche con la funzione di controllo dell’evoluzione del commissariamento.
Un Piano rigoroso ed austero che imposeinnanzitutto una riorganizzazione del sistema ospedaliero territoriale attraverso la chiusura o la conversione di ospedali non pienamente operativi in Case della Salute. Nonostante ciò, Scopelliti riuscì a salvare alcuni presìdi ospedalieri in aree “svantaggiate”, ad esempio in zone montane. Pur non essendo riuscito, con questa azione, a incidere sull’immane disastro finanziario che caratterizzava il sistema della Sanità in Calabria, contribuì ad eliminare il fenomeno degli “ospedali fantasma”, strutture spesso fatiscenti che non garantivano alcun tipo di prestazione sanitaria ad eccezione dei cosiddetti accertamenti di routine.
Ma a distanza di 8 anni dal 2014, nonostante la disponibilità delle risorse, questa riorganizzazione della rete ospedaliera, finalizzata a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è ancora nelle fantasie di personaggi in cerca di autore, intrappolata nell’immobilismo: infatti, i nuovi ospedali e la riconversione di parte dei diciotto in Case della Salute sono ancora sulla carta.
Anche il blocco del turnover del personale sanitario derivava dal paradosso più eclatante che affligge la Sanità in Calabria: il rapporto sproporzionato tra operatori sanitari, dirigenti medici e paramedici e personale tecnico/amministrativo. Insomma, un popolo di imboscati negli uffici, in esercito di privilegiati senza aggiornamento professionale, senza specifiche competenze, figli della clientela, compari dei potenti, amici degli amici.
La Sanità calabrese si presentava con un debito di circa 1,5 miliardi di euro, con un disavanzo annuale di 250 milioni di euro. Scopelliti individuò una copertura con l’utilizzo delle tasse di origine erariale ed una serie di misure che in quattro anni portarono il disavanzo annuale a 30 milioni di euro, oggi nuovamente salito a circa 180.
Un risultato realizzato eliminando gli sprechi e tagliando fino al 15% il budget delle aziende sanitarie private in convenzione, con ciò andando a colpire gli interessi delle potentissime lobby che fino a quel momento avevano utilizzato la Sanità in Calabria come una vera e propria diligenza da assaltare.
Un altro effetto delle scellerate politiche del passato che Scopelliti tentò di contenere riguardò la migrazione sanitaria: in quegli anni il costo di questo fenomeno diminuì da 230 a 220 milioni, dimostrando come attraverso un lavoro attento e sistematico si poteva invertire la tendenza. La Convenzione stipulata con il Bambin Gesù di Roma, ad esempio, offriva servizi sanitari altamente complessi in Calabria, evitando alle famiglie di affrontare i cosiddetti viaggi della speranza.
Scopelliti, inoltre, ebbe l’intuizione di emulare esperienze positive già sperimentate in altre aree d’Italia: si veda, ad esempio, l’adozione dei “costi standard” per normalizzare ed adeguare anche in Calabria i costi della Sanità, fino ad allora segnati da ingiustificate differenze sullo stesso territorio italiano, specialmente nella nostra regione.
La Sanità Calabrese da allora è ancora commissariata e la pandemia ha messo a dura prova questo modello organizzativo con funzioni e responsabilità concorrenti tra struttura commissariale e dipartimento della salute regionale.
La confusione ha aggravato ulteriormente le deficienze di un Sistema sanitario che trova sfogo esclusivamente nella rete ospedaliera sempre più in crisi, con una medicina di base anch’essa disconnessa dal Sistema sanitario territoriale nel totale disinteresse di una politica timorosa di ingenerare reazioni incontrollabili.
Le soluzioni per uscire dal Commissariamento della Sanità, Scopelliti le aveva indicate e si potrebbero ancora perseguire. Ma occorre fare delle scelte impopolari per onorare il concetto più alto della politica: “Il bene Comune!”. E lui lo aveva capito.
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