Ovunque si ascolta e si legge un attacco indiscriminato al sistema delle Regioni del quale tutti ne chiedono quantomeno qualche consistente modifica, dimenticandosi però che per portare a buon fine un siffatto progetto occorre una corposa (e difficile) revisione costituzionale. Fino a quanto tutto ciò non si renderà possibile, trovando il quasi impossibile accordo parlamentare per attuarlo, dobbiamo vivere con il sistema autonomistico regionale che ci troviamo. Che la Costituzione regola, alquanto minuziosamente. Per quanto riguarda la Calabria, ho letto un recente articolo su “Repubblica.it” di Isaia Sales dal titolo “I ribelli della Calabria” e non mi trova affatto d’accordo nelle sintesi delle cause determinanti l’inarrestabile declino della mia regione. Ciò in quanto dimentica, addentrandosi nella sua accurata analisi che boccia le politiche ivi esercitate, quanto accaduto in tutti questi anni nella determinazione delle regole metodologiche introduttive della nuova finanza pubblica territoriale. Quelle individuate in attuazione della Costituzione revisionata nel 2001, relativamente al novellato art. 119, che dovrebbe differire i giudizi più recenti da quelli storici. Ogni ritardo di crescita delle regioni meridionali, in special modo della Calabria, è difatti prioritariamente riconducibile alla mancata applicazione della disciplina sancita nella legge delega n. 42/09 e dei suoi decreti delegati perfezionati nel biennio 2010/2011. Una responsabilità grave delle istituzioni nazionali, governative e parlamentari, che ha determinato l’assurdo prorogarsi della spesa storica, ampiamente sbilanciata per quanto riguarda il Mezzogiorno, a tal punto da essersi reso protagonista della sua disfatta (vedi, per esempio, la sanità e l’assistenza sociale calabrese alimentate male e non rapportate ai loro bisogni reali). Tutto questo ha fatto sì che – a causa della mancata costituzione del fondo perequativo garante della esigibilità delle prestazioni essenziali e delle funzioni fondamentali degli enti locali – il già sistema geo-demografico del Sud non godesse del più utile strumento di riparto solidaristico. Quel modello redistributivo alimentato in via verticale posto a base della Costituzione per fare sì che le regioni e le autonomie locali potessero guadagnare i finanziamenti dedicati a «le funzioni pubbliche loro attribuite». Questo è quanto non reso attivo nella Repubblica, in perfetta disarmonia con il dettato costituzionale generando così ciò che è sottolineato nelle prerogative della Calabria, tanto da essere considerata pur fisicamente non essendolo, “separata dalla penisola”. Ed è giusto che così sia perché la mancata applicazione del cosiddetto federalismo fiscale fondato sui costi e fabbisogni standard assistiti da una corretta perequazione posta a garanzia di esigibilità generale dei livelli essenziali delle prestazioni, ha fatto sì che la politica diretta e indiretta governasse i riparti finanziari. Un sistema consolidato che ha trovato nella Conferenza Stato Regioni quel meccanismo istituzionalmente delegato a gestirlo non in forza degli indici di deprivazione socio-economico-culturale bensì attraverso le maggioranze, spetto atipiche, che ivi si formassero. Un risultato che ha premiato le fasce del centro-nord protette, a discapito di un Sud beneficiato male. Tant’è che non credo ci sia mai stato un presidente meridionale a presiederlo. La cura? La prima forma assicurativa è la consapevolezza del voto, che certamente non si rintraccia nell’alternanza tout court bensì nell’onestà di chi si presenta di chiedere consenso per almeno due legislature, appena sufficienti per cambiare musica e risultati, e con un elettorato che capisca il da farsi per essersi titolare del soddisfacimento delle sue giuste pretese. Ovunque soddisfatte tranne nella regione che ha a nord il Pollino e a sud lo Stretto di Messina. E’ dunque ciò che occorre ricordare nell’approcciarsi alle urne il 3 e 4 ottobre, oramai alle porte, per scegliere non solo il traghettatore dal peggio al normale, ma il Presidente capace di fare diventare la Calabria ciò che non è mai stata: un regione come e meglio delle altre. Un presidente che sappia affrontare anche la prossima sfida del regionalismo differenziato, che potrebbe rappresentare, se pensato e rivendicato correttamente, una buona occasione per guadagnare la svolta, unitamente alla programmazione delle politiche regionali finalmente degne di questo nome.
*Docente Unical
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