SIMERI CRICHI Due distinte operazioni della Dda di Catanzaro, medesima convergenza sulle dinamiche amministrative del Comune di Simeri Crichi. Dapprima l’inchiesta Basso Profilo, con l’arresto dell’allora assessore comunale al Turismo, figlio del consigliere comunale di Catanzaro Tommaso. Poi l’indagine Coccodrillo, che ha svelato le connessioni tra gli imprenditori Lobello e la criminalità, soprattutto crotonese. I due step investigativi hanno convinto il ministero dell’Interno a proporre lo scioglimento del consiglio comunale per via del quadro descritto dalla commissione d’accesso. Che ha illustrato «rapporti tra gli amministratori e le locali consorterie, e ha evidenziato come l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato, nel tempo, in favore di soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente ad ambienti malavitosi».
Al centro delle contestazioni vi sarebbe proprio l’ex assessore Brutto, «ritenuto il principale esponente di una frazione del territorio comunale che costituisce il centro degli interessi imprenditoriali delle locali consorterie, a cui il sindaco ha da subito conferito importanti deleghe». E nella stessa frazione vi sarebbe «un consolidato sistema di relazioni economiche tra l’ente locale e una famiglia a capo di un gruppo imprenditoriale, anch’essa contigua alle locali cosche mafiose». Questo gruppo avrebbe ottenuto commesse per oltre 730mila euro dall’ente per vari lavori, tra i quali la manutenzione e riqualificazione delle strade comunali. In questo caso, l’Ufficio tecnico avrebbe successivamente approvato una perizia di variante che ha comportato l’innalzamento dell’importo di aggiudicazione. Nel mirino della relazione della Prefettura sono finiti anche altri 16 affidamenti diretti per oltre 250mila euro di cui ha beneficiato negli anni 2017-2021 un’impresa il cui amministratore sarebbe «riconducibile per rapporti parentali ad un assessore attualmente in carica ed avente cointeressenze con il più volte menzionato gruppo imprenditoriale».
Neppure l’ex sindaco Piero Mancuso è stato risparmiato dalla relazione. Questo perché avrebbe mostrato un «contegno passivo (…) rispetto al possibile condizionamento mafioso nell’amministrazione comunale». Mancuso non è indagato nelle inchieste della Dda e, come è consuetudine, non viene citato con nome e cognome nell’atto. Ma la commissione d’accesso rileva «rapporti personali e di diretta cointeressenza tra la famiglia di imprenditori, i cui esponenti sono stati di recente raggiunti da un provvedimento di custodia cautelare e il sindaco». Il primo cittadino avrebbe, tra l’altro, «stabilito la propria residenza in un complesso residenziale di proprietà di un’impresa oggetto nel 2016 di interdittiva antimafia e attualmente sottoposta a sequestro preventivo unitamente ad un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare facente capo alla suddetta famiglia imprenditrice». L’immobile, tra l’altro, si troverebbe in una situazione catastale quantomeno dubbia, risultato “invisibile” a ruoli idrici, Imu e Tari. Segnalato dalla commissione d’accesso anche «il rifiuto di avanzare richiesta per la costituzione di parte civile del comune nel procedimento penale».
La commissione di accesso segnala, secondo quanto riportato nell’allegato, «un diffuso quadro di illegalità nei diversi settori amministrativi, in particolare quello
degli appalti anche nel settore edilizio, nei quali sono stati rilevati ripetuti affidamenti diretti in favore delle medesime ditte, in violazione del principio di rotazione degli offerenti, spesso ricorrendo alla prassi del frazionamento artificioso dell’importo del valore dei lavori».
A titolo esemplificativo, il prefetto «segnala l’adozione di tre determine, temporalmente consecutive, di affidamento di lavori in favore della stessa ditta individuale, nei cui confronti recentemente è stata adottata un’interdittiva antimafia del prefetto di Catanzaro».
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