ROMA Riace «ci sembrava un modello interessante per ripopolare i borghi dell’Appennino, solo anziani e nessun bambino». Lo racconta a “La Stampa” Mario Morcone, prefetto in pensione che al Viminale si occupò tanto di migranti e che ora fa l’assessore in Campania.
In “una prima fase”, «Mimmo Lucano aveva inventato qualcosa di nuovo. E non solo lui: andrebbe citata anche l’esperienza di Cantalice, vicino Rieti. Non rinnego di averlo sentito tante volte», spiega Morcone. «Quando divenni capo di gabinetto del ministro Marco Minniti, la realtà degli sbarchi era profondamente mutata», «non si procedeva più per esperimenti, ma con automatismi e regole. Facemmo un accordo con l’Anci: tutti i Comuni dovevano accogliere; c’erano le percentuali per abitante. Investimmo tanti soldi sullo Sprar. Subentrarono le regole della contabilità pubblica. E Lucano si inserì nel solco».
Ma poi aggiunge: «Capimmo presto che faceva pasticci», «il ministro Minniti mi disse: chiamatelo, vediamo se sono errori veniali a cui mettere rimedio. E così lo convocammo a Roma. Lucano venne due volte. Accadeva attorno al 2017. Gli feci presente che se aveva bisogno di aiuto, avremmo potuto affiancarlo con dei funzionari. Sa, è una persona semplice, poco addentro a leggi e regolamenti. Ma venne fuori il calabrese dalla testa dura, convinto di saper fare solo lui, e quando si trovava di fronte a carte indiscutibili, allora diceva: “La solidarietà viene prima di tutto, anche prima della legge”».
Interpellato sulla condanna a 13 anni, risponde: «Io l’ho conosciuto bene e sono convinto che non s’è messo un soldo in tasca. Aspetto di leggere le motivazioni della sentenza per capire meglio, ma penso che una condanna a 13 anni sia qualcosa di sconvolgente».
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