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«C’eravamo tanto amati»

Antonio Bassolino è stato negli anni ’90, contemporaneamente, sindaco di Napoli e, dal 21 ottobre 1998 al 21 giugno 1999, ministro del Lavoro e della previdenza sociale ne…

Pubblicato il: 05/10/2021 – 12:23
di Bruno Gemelli
«C’eravamo tanto amati»

Antonio Bassolino è stato negli anni ’90, contemporaneamente, sindaco di Napoli e, dal 21 ottobre 1998 al 21 giugno 1999, ministro del Lavoro e della previdenza sociale nel primo governo D’Alema. Un’overdose di incarichi e un conflitto di interessi celato.
Egli, oggi, si è ripresentato per la sindacatura napoletana attestandosi  all’8,2% dei voti, cifra in sé ragguardevole. Sulla stessa linea, ma con meno voti, si è presentato, con una sola lista, Mario Gerardo Oliverio, già governatore, che ha ottenuto l’1,77 per cento. Adesso ha preso circa 13 mila voti; nel 2014, quando vinse, sfiorò le cinquecentomila preferenze. Entrambi, provenienti dal Pci, sono fatti della stessa pasta. Non si arrendono mai.
A primo acchito, lo sconfitto principale di queste elezioni appare il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che ha ottenuto il 16,11 per cento. Troppo poco per le ambizioni della vigilia, tutto sommato moltissimo a mente fredda. Tant’è che ha eletto il medico Ferdinando Laghi di Castrovillari e il notaio Antonio Lo Schiavo di Vibo Valentia.
L’ex pm è apparso, ai microfoni impietosi della notte, molto contrariato, affermando a caldo: «È un risultato apprezzabile che può far mettere in campo un’esperienza radicata in Calabria e nel Mezzogiorno. Ma il risultato è al di sotto delle aspettative. La voglia di riscatto contro il ricatto, la voglia di un’alternativa e di trasformare la rassegnazione in svolta non è stata forse colta dalla maggioranza degli elettori, che hanno preferito la conservazione. Questo mi dà amarezza».
Col senno del poi, quali e quanti errori avrebbe commesso il partenopeo? Forse pensava, legittimamente, di raccogliere i frutti della sua attività pregressa, di sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro. Così non è stato. La vita reale è più complessa e complicata.
Il secondo errore del sindaco di Napoli è stato quello di affidare la regia della sua campagna elettorale a una fascia collocata marcatamente a sinistra dello schieramento storico italiano. Come si può pensare di accreditarsi in modo totale in un territorio ad alta vocazione governativa senza sfondare al centro? Quindi, ha scelto (o subito?) i compagni di viaggio in una sola direzione, di un solo colore. E poi, basta pensare ai pasticci combinati con Carlo Tansi con cui si erano suddivise le cariche: uno presidente della Giunta e uno presidente del Consiglio. Un dilettantismo sbalorditivo.
E, infine, c’è stato un errore tecnico: quello di fare troppe liste disperdendo le preferenze. Simboli in cui non si notava la differenza le une dalle altre, a causa, anche, della cromatura dei simboli che ha creato ulteriore confusione e irriconoscibilità.
Bisogna ammettere, tuttavia, che l’ex giudice aveva suscitato speranze e attese. Ma i suoi “microfoni” non sono risultati all’altezza del compito. Troppo monocordi, con le ali appesantite dal sospetto di un colonialismo mascherato. L’astensionismo, previsto e prevedibile, ha fatto il resto.

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