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Caso Martina Rossi, il pg della Cassazione: condanne da confermare

Dura requisitoria nel processo per la morte della studentessa in Spagna. Gli imputati sono accusati di tentato stupro di gruppo

Pubblicato il: 07/10/2021 – 19:16
Caso Martina Rossi, il pg della Cassazione: condanne da confermare

Rigettare i ricorsi di entrambi gli imputati e confermare le condanne. Lo ha chiesto pg di Cassazione Elisabetta Ceniccola nella sua requisitoria per il processo per la morte di Martina Rossi, 10 anni fa in Spagna, che vede imputati i due trentenni aretini Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni.
I due sono stati condannati nell’appello bis a Firenze, il 28 aprile scorso, a 3 anni per tentata violenza sessuale di gruppo. Martina è morta a vent’anni il 3 agosto 2011 a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. La vicenda processuale è stata lunga, tanto che se dovesse arrivare la parola fine sarebbe nell’imminenza della prescrizione. L’udienza, dopo una breve pausa, riprenderà con le arringhe degli avvocati e la sentenza è attesa in serata.

L’accusa: «Non fu suicidio, ma tentativo di evitare uno stupro di gruppo»

«Quello di Martina Rossi non fu un suicidio» ma «il tentativo di fuggire ad una violenza di gruppo», come stabilito dalla Corte d’appello di Firenze: ne è convinta la pg di Cassazione Elisabetta Ceniccola, che al processo per la morte della studentessa ha chiesto la conferma della condanna dei due trentenni aretini Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni.
La requisitoria si è soffermata in particolare sulla qualificazione del reato, 609 octies, violenza sessuale di gruppo e non in concorso, dalla quale dipendono anche i termini di prescrizione (quello di morte per conseguenza di altro reato è già prescritto ed è uscita dal processo). Per la pg è giusta la ricostruzione che vede «la compresenza» dei due imputati nella stanza d’albergo di Palma di Maiorca, che «ha influito negativamente” sulla reazione di Martina, “che si è sentita maggior ragione in uno stato di soggezione e impossibilitata a difendersi». Motivo per cui la ragazza avrebbe scelto una via di fuga “più difficile”, che la metteva in pericolo e non di uscire dalla porta: scavalca la balaustra «ma non si getta con intento suicidiario».
Inoltre Ceniccola ha ricordato che «Martina non aveva i pantaloncini, che indossava, e non sono più stati ritrovati. Per la Corte d’appello – ha sottolineato – era illogico che la ragazza girasse in albergo senza pantaloncini e senza ciabatte». Altri elementi evidenziati dalla pg sono alcune lesioni sul corpo di Martina oltre a quelle riconducibili alla caduta dal terrazzo e i graffi di Albertoni, uno dei due imputati.

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