CATANZARO «Ho chiesto di essere sentito perché intendo collaborare con la Giustizia perché voglio togliermi un grosso peso di dosso». Il 21 settembre scorso si è presentato davanti agli uomini della Dia di Catanzaro, Tommaso Rosa, 57 anni. L’uomo è imputato nel processo “Basso Profilo” nato da una inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro su un sistema affaristico-mafioso che si dipana tra uomini d’affari di Catanzaro, imprenditori e politici tra i quali l’ex assessore regionale al Bilancio Franco Talarico.
Pochi giorni prima della data in cui Tommaso Rosa ha cominciato a collaborare, il 14 settembre, i sostituti procuratori Paolo Sirleo e Veronica Calcagno, nel corso del processo con rito abbreviato, avevano chiesto nei suoi confronti la condanna a 20 anni di reclusione.
L’imputato è accusato di associazione mafiosa poiché considerato «riferimento operativo della organizzazione ‘ndranghetistica di Roccabernarda, in quanto legato a Antonio Santo Bagnato capo del locale di Roccabernarda, avvalendosi della sua intraprendenza imprenditoriale e veicolando parte dei proventi alle cosche, curava la gestione di società fittizie – nelle quali figuravano prestanomi a lui legati – create al precipuo scopo di incamerare illeciti profitti mediante condotte decettive ai danni dell’Erario e degli enti previdenziali (società nelle quali venivano impiegati dipendenti indicati dal Bagnato)».
Nel corso delle indagini sono emersi inoltre contatti con Antonio Gallo, figura di raccordo in questo presunto sistema affaristico-mafioso: capace di muoversi a proprio agio tra i clan del Crotonese (ma sono documentati anche viaggi nel Reggino nei quali avrebbe incontrato soggetti considerati dall’antimafia vicini alle cosche).
I verbali dell’interrogatorio dello scorso 21 settembre sono stati oggi messi agli atti del processo “Basso Profilo” con rito abbreviato.
Tommaso Rosa racconta che Vincenzo De Luca – uomo di fiducia di Antonio Gallo – anche lui accusato di associazione mafiosa, «andava a parlare con il referente della cosca locale rappresentando la possibilità di poter contrattare con una impresa che stava lavorando in quel territorio».
Tommaso Rosa descrive De Luca come collaboratore di rilievo per Gallo. «Questi era un collaboratore esterno che coadiuvava il Gallo – afferma Rosa – nell’abito dell’attività reale dell’antifortunistica. In sostanza era lui che si rapportava ai terzi. Per quello che so, per avermelo detto sia Gallo che De Luca, quest’ultimo accompagnava Gallo in incontri che doveva avere con soggetto legati alla ‘ndrangheta. So altresì, sempre per avere raccolto le confidenze di De Luca, che questi si incarico di Gallo, allorquando una impresa lavorava in un territorio sotto il controllo di una cosca i cui vertici erano collegati a Gallo, il De Luca andava a parlare con il referente della cosca locale, rappresentando la possibilità di potere contrattare con una impresa che stava lavorando in quel territorio».
De Luca chiedeva che i boss parlassero con i titolari dell’impresa «rappresentando la necessità che acquisissero i prodotti commercializzati da Antonio Gallo».
«So che Gallo – aggiunge Rosa – era molto abile a mantenere buoni rapporti con i maggiorenti delle cosche, attraverso elargizioni che dava in occasione di eventi, quali ricorrenze festive». A consegnare i regali di Gallo era lo stesso De Luca. Altro compito di De Luca era quello di allacciare rapporti con le imprese, come l’impresa Astorino, «consistenti nell’attività di procacciamento di affari con terzi, spendendo il nome di Gallo. Devo dire che l’utilizzo del nome di Gallo consentiva il buon esito delle trattative». Non solo. Rosa racconta che De Luca aveva comprato un bancale di liquori «da una impresa destinata a “saltare” riconducibile a Pier Paolo Caloiro. So che quando Pier Paolo fu arrestato, De Luca fu contattato da Cirillo perché consegnasse la somma che spettava a Caloiro».
Fu De Luca, racconta Tommaso Rosa, che mise a disposizione, in orario di chiusura, la sala del ristorante affinché si riunissero Rosa, Gallo, Felice Falcone Andrea Leone (e un’altra persona il cui nome è omissato), per parlare delle vicissitudini della ditta “Deter Tommy” che era ancora operativa.
Tommaso Rosa racconta che anche la moglie di Antonio Gallo era operativa nelle operazioni di false fatturazioni e afferma di saperlo «perché impartiva disposizioni operative a mia moglie». «Durante gli incontri con mia moglie – dice Rosa – ci faceva tenere lontani i telefoni. In sostanza lei rappresentava il marito in sua assenza e noi le consegnavamo i soldi dell’attività illecita».
Secondo quanto riferisce Rosa agli inquirenti, il grosso delle spese per l’apertura delle società lo mettevano Antonio Gallo e Andrea Leone mentre il ruolo di Tommaso Rosa era quello di intestarsi le società e di individuare buona parte dei dipendenti. «Premetto che per le vecchie società i profitti venivano divisi tra Gallo, Leone e OMISSIS. Per le nuove società in cui figuravo a vario titolo, a me spettava, al di là dei compensi mensili pari a 1000 euro, oltre alle somme per mia moglie e a mia figlia (in proporzione al loro apporto), la percentuale sui profitti al 10%. Questo importo in realtà non è stato a me mai consegnato, poiché Leone e Gallo dicevano che veniva reinvestito e lo avrei visto in seguito». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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