NOCERA TERINESE Il comune della costa tirrenica, Nocera Terinese, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e destinato alla gestione commissariale per 18 mesi. Lo scioglimento è arrivato in seguito all’inchiesta Alibante, che ha fatto luce sul retroscena delle elezioni amministrative del 2019 facendo emergere un quadro inquietante. A concorrere per la guida del Comune si presentarono due liste, quella vincente “Unità popolare nocerese” guidata da Antonio Albi e l’antagonista “Il paese che vogliamo” guidata da Fernanda Gigliotti, che ha poi espresso il gruppo di opposizione.
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La relazione prefettizia sottolinea «che il condizionamento della tornata elettorale amministrativa del 2019 ha riguardato anche l’altra lista in competizione, che pertanto costituiva solo un’apparente alternativa a quella risultata vincente, e cio’ a dimostrazione del totale controllo del territorio e del consenso elettorale che e’ capace di esercitare quella consorteria mafiosa non consentendo, di fatto, alcuna forma di espressione libera del voto che possa dare voce ad organi elettivi, svincolati dagli interessi particolari o illeciti della criminalità organizzata. Al riguardo, nel porre in rilievo una sostanziale continuità amministrativa tra la compagine eletta nel 2019 e quella proclamata nel 2018, atteso che sei amministratori erano già presenti nella precedente consiliatura, la relazione prefettizia pone in rilievo come le indagini abbiano rilevato le forti pressioni subite dal sindaco eletto nella tornata del 2018 da parte della locale organizzazione criminale che lo ha indotto, a soli due mesi dall’insediamento, a rassegnare le proprie dimissioni dall’incarico, cui e’ seguita la nomina, di un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell’ente».
Dall’inchiesta è emerge che ad essere coinvolti sono due esponenti della maggioranza di Albi, ovvero il vicesindaco e un consigliere in carica al momento dell’operazione Alibante. La prefettura parla di una «guida occulta nella lista che agiva per conto della cosca già a partire dal 2018». La stessa persona che nel 2015 avrebbe fondato il movimento politico che ha poi espresso Antonio Albi come candidato a sindaco. Le infiltrazioni e il controllo elettorale, però, secondo la Prefettura non si è fermato ad una lista ma ha intaccato anche quella di Gigliotti, dove si individua un imprenditore che fungeva da «referente occulto, affiliato alla cosca». Il controllo elettorale, dunque, secondo la ricostruzione, andava al di là dell’affermazione elettorale di una lista ma puntava a tutelare determinati interessi turistici ed economici.
Dagli atti di indagine, secondo quanto riporta la relazione, «emerge la strategia criminosa messa in atto dalla locale cosca mafiosa che, per ottenere il pieno controllo del Comune di Nocera Terinese, ha condizionato l’esito delle due ultime elezioni comunali tenutesi nel 2018 e 2019. In particolare, nella consultazione del 2019, l’affermazione elettorale dell’allora candidato consigliere comunale, poi nominato vicesindaco, è il risultato dell’appoggio elettorale ottenuto da parte di due persone, padre e figlio, entrambe contigue alla criminalità organizzata interessate ad ottenere, in cambio dell’appoggio elettorale l’aggiudicazione di un lotto demaniale marittimo sul quale realizzare un lido balneare e una discoteca. Al riguardo, il prefetto evidenzia come il favorevole risultato elettorale abbia trovato puntuale riscontro nel provvedimento concessorio, atteso dai due sostenitori, disposto dal settore demanio marittimo del Comune di Nocera Terinese con determina del 4 giugno 2019».
Oltre all’evidente condizionamento della componente politica, «gli accertamenti disposti dalla commissione d’indagine – si legge ancora – hanno rilevato la grave esposizione degli uffici comunali alle illecite interferenze esterne, tanto da rimarcare il fatto che il Comune di Nocera Terinese si muove soltanto nella direzione segnata dalla cosca mafiosa. A tal proposito, la commissione d’indagine ha evidenziato che lo stesso commissario straordinario che ha gestito l’ente a seguito dello scioglimento disposto nel 2018, nel corso delle audizioni disposte dall’organo ispettivo ha descritto il Comune di Nocera Terinese come una struttura in totale disordine amministrativo, predisposta a una permeabilità da parte di terzi portatori di interessi propri che inquinano l’attività istituzionale individuando le aree tecniche ed amministrative dell’ente come quelle più compromesse; rileva a tal riguardo che tre dipendenti di quegli uffici risultano indagati nella predetta operazione giudiziaria».
Dagli atti di indagine risulta, infatti, «la posizione di un dipendente dell’ufficio tecnico il quale, abusando delle funzioni pubbliche e compiendo una serie di atti illeciti ed omissioni, ha garantito gli interessi del locale clan mafioso tanto che gli stessi magistrati della direzione distrettuale antimafia, nell’ambito della più volte menzionata operazione «Alibante» riconoscono allo stesso una posizione cruciale al punto da essere considerato una «testa di ponte» di quell’organizzazione all’interno del comune, dipendente a cui pur a fronte di tali condotte e’ stata garantita la continuità nel servizio tecnico comunale, in ultimo con la conferma ottenuta nel 2019 all’atto dell’insediamento dell’ex sindaco».
La Commissione d’accesso si è soffermata «sulle anomale procedure seguite» da questo dipendente «nel rilasciare illegittimamente la certificazione di agibilità ad una struttura alberghiera nella disponibilità di un imprenditore contiguo alla locale consorteria mafiosa, e ciò anche se all’attività era stata negata la certificazione antincendio da parte del comando provinciale dei vigili del fuoco. Il favorevole provvedimento comunale ha consentito alla società proprietaria dell’albergo di accedere al secondo rateo – il primo era stato elargito nel novembre 2014 – di un cospicuo finanziamento a fondo perduto della Regione Calabria nell’ambito del POR Calabria FESR 2007/2013».
Allo stesso tecnico comunale viene inoltre contestato, dagli inquirenti che hanno confezionato l’inchiesta Alibante, «di aver abusato dei poteri d’ufficio per aver omesso di emanare i provvedimenti necessari ad interrompere i lavori di costruzione di un’altra struttura ricettiva – la cui proprietà è riconducibile ad un ex amministratore, già sindaco di Nocera Terinese in passate consiliature e anch’esso indagato per reato di cui all’art. 416-bis del codice penale – sebbene fosse a conoscenza dell’attività falsificativa posta in essere dall’interessato nella presentazione della Scia».
Contestazioni in parte analoghe «sono formulate anche nei riguardi di un altro dipendente al quale gli inquirenti della direzione distrettuale antimafia riconoscono l’attitudine a piegare l’attività burocratica ai propositi mafiosi, responsabile dell’area amministrativa fino al maggio 2021 – come già evidenziato colpito da ordinanza cautelare – al quale viene addebitato il reato di corruzione elettorale, in quanto in occasione delle consultazioni tenutesi nel 2018, in cambio del voto proprio e quello dei familiari, accettava la promessa di soggetti intranei alla locale cosca di ottenere la conferma della responsabilità di uffici comunali con i connessi benefici stipendiali». La relazione del prefetto sottolinea che questo dipendente è «indagato nell’ambito della stessa inchiesta giudiziaria per atti contrari ai doveri d’ufficio, non avendo adottato provvedimenti sospensivi della somministrazione di cibi e bevande relativamente ad un chiosco-bar, attività omissiva per la quale ha ricevuto in cambio utilità dallo stesso titolare dell’impresa già segnalato come soggetto contiguo al locale clan mafioso».
Un paragrafo viene dedicato anche alle criticità sulla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. La relazione prefettizia ha rilevato, infatti, «che le amministrazioni comunali susseguitesi nel tempo hanno tutte ed indistintamente posto in essere azioni dilatorie od omissive con la chiara finalità di tenere inutilizzati i predetti beni e rendere nei fatti irrealizzate le finalità sociali perseguite dalla normativa di settore, evitando in ogni modo di restituire al pubblico utilizzo i beni frutto di illeciti proventi delle organizzazioni di tipo mafioso». Un esempio per tutti viene individuato dal prefetto di Catanzaro, che «pone l’attenzione su un bene immobile confiscato all’esponente di rilievo del locale clan ‘ndranghetista mai destinato a finalità di natura sociale e rimasto inutilizzato per circa dieci anni; solo recentemente una pertinenza dell’immobile risulta parzialmente adibita a rimessa dei veicoli comunal».
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