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Processo “Acheruntia”, D’Ambrosio: «Non ho mai minacciato nessuno»

Dichiarazione spontanea resa da uno degli indagati nel procedimento in corso al Tribunale di Cosenza. In aula l’esame dei testimoni del Pm

Pubblicato il: 13/10/2021 – 18:33
di Fabio Benincasa
Processo “Acheruntia”, D’Ambrosio: «Non ho mai minacciato nessuno»

COSENZA Si chiude con la dichiarazione spontanea resa da Adolfo D’Ambrosio, imputato nell’inchiesta “Acheruntia”, l’odierna udienza tenuta dinanzi al Collegio giudicante (Presidente Carmen Ciarcia; Giudici a latere Urania Granata e Francesca Familiari) del Tribunale di Cosenza per gli imputati che hanno optato per il rito ordinario. Le indagini partirono a seguito del ritrovamento di una bottiglia incendiaria: un atto intimidatorio ai danni di un imprenditore edile. I reati ipotizzati sono associazione mafiosa, estorsione, concussione, corruzione elettorale, usura, frode informatica e porto abusivo di armi.

D’Ambrosio respinge le accuse

La dichiarazione di D’Ambrosio, arriva dopo l’esame e il controesame di Ercole Chiappetta, teste del Pm Pierpaolo Bruni, oggi procuratore capo a Paola ma all’epoca pubblico ministero della Dda di Catanzaro che firmò l’inchiesta. L’imputato si rivolge al Collegio giudicante e si dice totalmente estraneo ai fatti contestati. «Con Ercole Chiappetta abbiamo concluso la vendita di tre forniture di pellet da cui ho guadagnato 270 euro. Non ho mai minacciato o intimorito nessuno, mi sembra assurdo passare per mafioso per aver guadagnato poco più di 200 a fornitura. La mia unica colpa è aver coinvolto mio figlio e poi sono stato costretto a chiudere la sua attività». «Se fossi stato un mafioso – conclude D’Ambrosio – avrei costretto Chiappetta a fare affari solo con me, e così non è stato».

Il racconto di Chiappetta

Chiappetta sollecitato dalle domande degli avvocati del Collegio difensivo, i legali Cesare Badolato e Francesco Calabrò, ricostruisce (non senza fatica) i rapporti intercorsi con due imputati nell’inchiesta: Andrea Cello e Adolfo D’Ambrosio. Chiappetta nel corso di un interrogatorio reso nel novembre del 2014 aveva raccontato – come contenuto nei verbali – di essere stato intimorito da Cello e D’Ambrosio e di aver subito il furto di un automezzo della ditta di sua proprietà. L’imprenditore confessa di conoscere Andrea Cello, ma di non ricordare in quale periodo incontrò l’indagato. «Si recava nel mio negozio 2 o 3 volte a settimana e acquistava materiale edile, ma non so che lavoro facesse». «Dopo aver saputo alcune cose sul suo conto – confessa Chiappetta – mi sono allontanato». Chiappetta sollecitato dal presidente del Collegio, Ciarcia, poi preciserà di non essere a conoscenza di fatti specifici ma di «aver sentito delle voci sul conto di Cello». L’avvocato Badolato insiste in fase di controesame sui rapporti tra Cello e Chiappetta e chiede al testimone se avesse o meno ricevuto notizia di una visita congiunta di Andrea Cello e Adolfo D’Ambrosio. «Si – risponde Chiappetta – ma non conoscevo Adolfo D’Ambrosio». Sulla circostanza arriva la contestazione dell’avvocato Badolato che ricorda come nel corso dell’interrogatorio reso, lo stesso testimone avesse raccontato di conoscere D’Ambrosio, interessato all’epoca ad una vendita di pellet. I rapporti con Cello e D’Ambrosio si interrompono quando Chiappetta sostiene di essere stato oggetto di intimidazioni. Nonostante tutto però, aggiunge l’imprenditore in aula «non potevo chiudere i rapporti di punto in bianco».

L’esame del Pm

Prima di congedare il teste, il Pubblico ministero chiede lumi sul furto subito da Chiappetta. «L’automezzo rubato – dice – l’ho ritrovato vicino Camigliatello». Su chi lo “aiutò” nella ricerca Chiappetta confessa di non ricordare nulla e il Pm richiama le dichiarazioni rese in fase di interrogatorio quando invece confessò che «fu Cello a far ritrovare l’oggetto del furto». Nella prossima udienza prevista a Marzo 2022, saranno escussi gli ultimi testimoni del Pubblico ministero.

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