CATANZARO Lo smercio della droga nella zona Isonzo a Catanzaro era gestito in piena autonomia da diversi gruppi che si erano formati e consolidati da molti anni, i cui referenti erano di etnia rom. È questo uno dei fili conduttori dell’inchiesta “Aesontium” della Dda di Catanzaro – guidata dal procuratore Nicola Gratteri – e che ha portato, su ordine del gip del Tribunale di Catanzaro, all’esecuzione di 21 ordinanze di custodia cautelare. (QUI LA NOTIZIA). Un’inchiesta che si è sviluppata negli ultimi anni grazie alla collaborazione tra gli agenti della Polizia di Stato e i carabinieri di Catanzaro, ma che si fonda anche sugli importanti e spesso essenziali spunti investigativi forniti agli inquirenti da alcuni collaboratori di giustizia. Tra loro c’è Santino Mirarchi, riconosciuto come il promotore di un gruppo criminale dedito al narcotraffico fin dal 2009 ma anche ritenuto un affiliato del clan di ‘ndrangheta degli Arena di Isola Capo Rizzuto.
Sono in particolare le parole di Mirarchi – riportante nell’ordinanza firmata dal gip – a gettare luce su un quadro criminale fatto di ombre, legami familiari, spaccio di droga e il controllo capillare di una porzione di territorio come quella della Sud di Catanzaro. Una lunga serie di episodi ricostruiti cronologicamente dal 2007-2008, attraverso la voce di uno dei protagonisti: era lui, infatti, il principale fornitore di droga, facendo riferimento in particolare alla conoscenza di Francesca Martelli detta “Subaru”, compagna di Gianluca Bevilacqua detto “Felice”, figlio di “U Muntanaru”, Fiore, già deceduto. Secondo Mirarchi, inoltre, «erano gli Amato – subentrati nel controllo del narcotraffico sul territorio dopo il suo arresto – a rifornire di stupefacenti anche i “Muntanari” «per uno smercio di cocaina per 300 grammi a settimana». Il gruppo era gestito dal “vecchiarello” Fiore, nonno di Fabio Bevilacqua detto “u figliu da culu e vacca” e padre di Gianluca Bevilacqua». «La preparazione dello stupefacente – sostiene nell’interrogatorio Mirarchi, così come riportato nell’ordinanza – avveniva a casa di Fabio Bevilacqua, la cessione a casa del nonno mentre a casa dell’altra figlia, quella sposata con il fratello di “occhio di buffa”, di cognome Folino, avviene la momentanea detenzione del denaro proveniente dagli acquirenti». «Altri due figli di Fiore spacciano la cocaina nella zona dette “le Poste”. Si tratta in particolare di Felice e dell’altro figlio chiamato “Lupin”, attualmente detenuto».
«I “Diddi” così come i “Muntanari” – precisa nell’interrogatorio reso a luglio del 2016 – trattano mediamente quantità mensili di 700 grammi di cocaina, arrivando però anche a trattare un chilo al mese (…) con riferimento alla famiglia dei “Muntanari” posso dire che la gestione è nelle mani del vecchiarello di nome Fiore (Bevilacqua ndr)». «Marcello Amato – riferisce ancora Mirarchi – riforniva la famiglia rom dei “Muntanari” che a sua volta rivendeva quantità intorno ai 300 grammi ogni due settimane». «(…) in riferimento alle altre famiglie più piccole, io vendevo solo se pagavo in contanti (…) si tratta, questa, del Bosco, di famiglia che lavora piccoli quantitativi di stupefacente e che si rifornisce dove capita». Nel corso dell’interrogatorio, inoltre, Mirarchi fornisce elementi utili anche su Isa Garuja, il quale avrebbe rifornito di droga il sodalizio de “U Muntanaru”, con frequenti viaggi dalla Puglia in Calabria.
Mirarchi, ma non solo. C’è un altro collaboratore di giustizia che ha fornito importanti elementi investigativi. Si tratta di Vincenzo Sestito, già noto per essere un assuntore di cocaina ed eroina, e che ha deciso di collaborare a giugno del 2019 mentre si trovava ai domiciliari. È lo stesso Sestito a riconoscere come si sia rifornito di droga dai gruppi criminali di etnia rom, dando anche la sua disponibilità allo spaccio e ad assaggiare la qualità degli stupefacenti, così come riportato dal gip nell’ordinanza.
«(…) fino a 10 anni ho vissuto a Catanzaro Lido e poi ci siamo trasferiti all’Aranceto» afferma nell’interrogatorio Sestito, parlando poi del legame instaurato con Santino Mirarchi. «(…) incontrandomi con lui, conobbi Sebastiano Pelle di San Luca. Sapevo che apparteneva a una famiglia di ‘ndrangheta. Con lui abbiamo stretto i rapporti e ricordo che andammo io e mio fratello a San Luca da lui (…) andai a convivere a Santa Maria e in quel periodo mi rifornivo di droga per uso personale da Caterina Ruga (…) la comperavo anche da Nico Bevilacqua. Successivamente mi sono trasferito a Pistoia (quartiere di Catanzaro ndr) con la mia compagna, lì mi rifornivo da tale Barbanera, dai Gamberi e da Donato “Occhiostorto”, poi mi sono trasferito di nuovo ad Aranceto».
Poi, in un altro interrogatorio rilasciato l’1 luglio 2019, Sestito fa i nomi: «Nel quartiere Pistoia i capi sono Pino detto “Scatoletta, Maurizio “il Gambero”, e poi al terzo piano dello stesso palazzo abitato da quest’ultimo c’è Luciano detto “Battaglia” e la moglie Jessica, ed ancora Donato detto “occhio storto”. Alle Poste c’è Franco “u cecato”, – è riportato nell’ordinanza del gip – appartenente alla famiglia dei Gamberi e vendono cocaina, eroina e hashish. Non so se hanno armi ma ho visto Maurizio con un’arma su Facebook». «Franco Cecato – continua la ricostruzione di Sestito – si avvale dei ragazzini Nico Bevilacqua della famiglia detta dei Pracchia con la moglie Caterina Ruga, Andrea Catanzaro che abita alle Poste e vende hashish, Sono tutti ragazzi tra i 20 e i 25 anni (…)». «Sono al corrente di queste ripartizioni territoriali perché sono consumatore di droga e quindi l’ho percepito direttamente e poi perché alcuni di questi ragazzi sono miei amici». (redazione@corrierecal.it)
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