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Rinascita Scott, parla Cannatà: i prestiti ad usura e il processo da intasare

Il Pm conclude l’esame del collaboratore di giustizia. Dai debitori e creditori agli indagati che volevano «allungare il processo e mettere in difficoltà la Procura». Rinviato il controesame della …

Pubblicato il: 14/10/2021 – 15:42
di Fabio Benincasa
Rinascita Scott, parla Cannatà: i prestiti ad usura e il processo da intasare

LAMEZIA TERME Terza giornata di deposizione per il collaboratore di giustizia di Vibo Valentia Gaetano Cannatà. Nell’aula bunker di Lamezia Terme, in videoconferenza, il collaboratore risponde alle domande del Pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo. L’odierna deposizione di Cannatà inizia con la sottoposizione degli album fotografici per i riconoscimenti di personaggi legati ai clan vibonesi. Il collaboratore si sofferma su Rosario Fiarè che «conosco solo per nomea», Saverio Razionale «l’ho conosciuto una volta, me lo presentò Vincenzo Franzone. Non so che rapporti avessero, erano amici credo» e Domenico Bonavota «abita a Sant’Onofrio, ho appreso dai giornali dei suoi problemi giudiziari». Prima dell’inizio dell’esame, il dottore Antonio Oliva, Dirigente medico dell’Uoc di Medicina legale Università Cattolica Sacro Cuore Roma, ha depositato l’elaborato peritale per l’imputato Francesco Carnovale. Il medico, inoltre, ricevuto l’incarico per sottoporre a visita l’indagato Valerio Navarra, dovrà valutare se le attuali condizioni di salute siano o meno compatibili con il regime carcerario e nel caso specificare il trattamento diagnostico terapeutico cui sarà sottoposto il paziente. Il termine è fissato in 20 giorni. L’avvocato difensore di Navarra ha nominato il consulente di parte: il professore Marasco.

Il prestito e la “scrittura privata”

L’esame si apre con il pubblico ministero che rivolgendosi a Cannatà chiede lumi su un prestito elargito a favore di un imprenditore vibonese, tale Baroni. «Baroni venne da me – nell’autunno del 2013 – chiedendomi 25mila euro per comprare dei preziosi da un rappresentante, gli dissi che non avevo i fondi ma che mi sarei attivato con Salvatore Furlano, quest’ultimo a sua volta mi disse che c’era disponibilità». «I 25mila euro – precisa Cannatà – vennero consegnati in una unica tranche». «Furlano mi fece avere i soldi e per tutela sul prestito mi fece firmare insieme a Baroni una carta dove non comparivano interessi», l’interesse come specificherà dopo Cannatà sarà imposto e ammonterà «a circa 3.000 euro mensili». «Baroni ha pagato una sola volta (in contanti) i soldi relativi all’interesse, un’altra volta a metà, poi si è allontanato nei primi di giugno del 2014». «Prima di dare i soldi, Salvatore Furlano mi disse che aveva parlato con l’avvocato che gli consigliò una scrittura privata. Sulla carta – aggiunge il collaboratore – c’era scritto che io, Salvatore Furlano e Giovanni Franzè avevamo dato i soldi alla moglie di Baroni (titolare della ditta) a titolo di amicizia senza interesse, cosa non vera come ho già detto». Cannatà continua il racconto: «Franzè quando seppe della carta mi cercò e mi disse che lui non ne voleva saperne nulla. Quando ci arrestarono, venne fuori la storia di questa scrittura, Franzè si arrabbiò molto mentre Furlano mi diceva che i soldi gli aveva dati proprio Franzè e che era a conoscenza di tutto». A quel punto, secondo Cannatà, Furlano cercò di scaricare la colpa su di lui «dicendo a Franzè che ero stato io a mettere il suo nome sulla carta. Abbiamo avuto un confronto e Furlano si arrampicava sugli specchi e Franzè si accorse che era il responsabile di tutto. Dopo il litigio non ho avuto più contatti con i due».

La preoccupazione per la “fuga” di Baroni

Baroni, nel 2014, fa perdere le proprie tracce: «Gaetano Cannatà, Salvatore Furlano, Damiano Pardea, Pino, Enzo e Giovanni Barba e Franzè» si mostrano preoccupati. «Pardea – confessa Cannatà – ci aveva detto che aveva saputo da un amico carabiniere che Baroni aveva sporto denuncia». Il Pm chiede perché anche Giovanni Barba fosse preoccupato e Cannatà risponde: «aveva contenziosi con Baroni ma non so di che natura. Mi disse di stare tranquillo che Baroni non aveva denunciato nessuno, mentre Damiano Pardea disse che la denuncia era stata presentata». «Ho parlato – in un incontro – con Giovanni e Giuseppe Barba» aggiunge Cannatà «e da entrambi – ma non ricordo con precisione – mi dissero che avevano contattato mio cugino Giovanni D’Andrea per avere informazioni sulla denuncia di Baroni». Il Pm chiede chiarimenti sul coinvolgimento di D’Andrea. «Con i miei cugini parlavo dei miei problemi anche a titolo informativo – sostiene il collaboratore – ma non so perché Barba contattò mio cugino». Il pubblico ministero insiste: «I suoi cugini sapevano che Pino e Vincenzo Barba e Salvatore Furlano prestassero denaro?» «Si, perché in città è risaputo che facessero prestiti ad usura».

Le altre vittime di usura

Nella rete dell’usura finiscono anche altri soggetti. A tutti veniva praticato lo stesso tasso di interesse «del 7-8% mensile». «I soldi che prestavo – precisa Cannatà – erano nella maggior parte delle volte miei, se non li avevo chiedevo a Pino Barba che mi faceva il 4 o 5 % di interesse e li riprestavo imponendo il 7 o 8%». Il Pm contesta quanto dichiarato dal collaboratore citando le dichiarazioni rese da un verbale del settembre del 2020. «Lei dice che i soldi dati in prestito non erano solo i suoi ma anche di suo nipote». «E’ vero – risponde Cannatà – quando Barba non poteva darmeli li chiedevo a lui. Mio nipote penso li chiedesse a Giovanni Franzè». Attivo nei prestiti ad usura, Furlano – nel racconto del collaboratore – emerge come figura legata al denaro e particolarmente «pressante» nel richiedere indietro il prestito elargito. «Era come l’esattore delle tasse», dice Cannatà che cita un episodio: «mi prestò 4mila euro a fronte di circa 350 euro mensili di interessi. Poi mi diede altri 3 mila euro da dare a Baroni con 300 euro di interessi. Ho sempre pagato fino a quando non mi hanno arrestato». «Fino a quando pagavo mi lasciava tranquillo, quando saltavo un pagamento sembrava un esattore delle tasse e iniziava a pressarmi, non avevo margine per sgarrare». Cannatà proverà a “liberarsi” dall’assillo di Furlano: «Volevo ricevere un prestito da Franzè (poi non concesso) per estinguere il prestito ricevuto da Furlano».

Non solo usura

Il Pubblico ministero chiude il capitolo dedicato all’usura e chiede al collaboratore di giustizia di riferire su alcuni rapporti intercorsi tra persone di sua conoscenza, Si parte dai fratelli D’Andrea, cugini di Cannatà. «Carmelo D’Andrea, mentre era detenuto, non aveva mai ricevuto denaro. Quando uscì molti amici gli confessarono di aver mandato dei soldi e capì che era stato suo fratello a non consegnarli, tenendoli per sé. Per molto tempo i miei cugini non si sono parlati, ma poi si sono riappacificati». Sollecitato a dare informazioni sul rapporto tra Damiano Pardea e Vincenzo Barba, il collaboratore risponde: «Pardea chiamava Barba “compare” e mi disse che volevano aprire un ristorante in piazza Santa Maria a Vibo Valentia. Avrebbero fatto una società lui, Enzo Barba e un’altra persona di cui non ricordo il nome. Poi ci arrestarono e non se ne fece più nulla».

Le “raccomandazioni” di Mantella

L’esame del collaboratore volge al termine, ma prima di dichiararlo concluso il Pm chiede conferma a Cannatà delle presunte “raccomandazioni” di Andrea Mantella nell’assunzione di alcuni dipendenti di un supermercato vibonese. «Io stesso mi ero rivolto a Damiano Pardea – dice Cannatà – per l’assunzione di mia moglie e mi ha detto che di queste cose si occupava Andrea Mantella. Che io ricordi, Pardea si licenziò per far assumere suo fratello perché preferiva occuparsi della vendita delle auto tra Italia e all’estero». «Il proprietario del supermercato – aggiunge – aveva preso in gestione un villaggio a Parghelia e assunse la moglie di Pardea alla reception mentre lo stesso Pardea si occupava del servizio navetta. Anche lì, che io sappia, entrò con una raccomandazione, ma non so se grazie a Mantella o altre persone».

Il duplice tentato omicidio

Cannatà riferisce in merito ad una sparatoria nei pressi di un chiosco nel vibonese e sul tentato omicidio di Antonio Franzè. «Quando eravamo detenuti a Tolmezzo, Daniele La Grotteria mi raccontò delle contestazioni nei suoi confronti e mi disse che «lo accusavano della sparatoria nel chiosco e del tentato omicidio. Lo stesso ammetterà di essere stato presente nella sparatoria del chiosco ma che non aveva nessun legame con il tentato omicidio di Franzè».

«Scegliamo l’ordinario e intasiamo il processo»

Sempre nel corso della sua detenzione, Cannatà ha commentato la notifica di avviso di conclusione delle indagini preliminari di Rinascita Scott. «Abbiamo parlato con Domenico e Giuseppe Camillò, Luciano Macrì e Daniele La Grotteria delle scelte processuali, della scelta del rito e io dissi a Macrì che avrei fatto l’abbreviato perché non avevo niente da cui difendermi». «Macrì – continua – mi disse che conveniva a tutti scegliere il rito ordinario perché così “mettiamo in difficoltà la Procura e andiamo a scadenza”». In che senso? Chiede il Pm. «Dottò, portandolo alle lunghe non si finiva il processo e scadevano i termini di custodia cautelare». Chi consigliò questa linea al Macrì? Chiede ancora il pubblico ministero. «Tutti gli avvocati – risponde Cannatà – almeno così diceva Macrì. Secondo lui tutti si stavano mettendo d’accordo per andare in ordinario e per “intasare” il processo». Cannatà così come Macrì opterà per il rito abbreviato. Dopo la chiusura dell’esame del collaboratore, gli avvocati della difesa chiedono il rinvio del controesame e sollevano perplessità sui tempi di consegna delle trascrizioni. Il presidente del Collegio accoglie le richieste dei legali, e posticipa il controesame alla prossima udienza. Le trascrizioni, intanto, saranno tutte disponibili entro la giornata di domani.  

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