Giacomo Debenedetti (Biella 1901 – Roma 1967), uno dei maggiori critici letterari del Novecento, indimenticato titolare della cattedra di Lettere all’università di Messina dove ebbe come allievi Walter Pedullà e Saverio Strati, scrisse la prima testimonianza letteraria della retata nazista nel Ghetto di Roma. Il libricino (edito dal Saggiatore) venne pubblicato la prima volta nel 1944, subito dopo la liberazione di Roma, e varie edizioni sono seguite in Francia a cura di Sartre e in Italia a cura di Sciascia. In nuova veste il piccolo libro è stato appena ripubblicato dall’editore La nave di Teseo (pagine 100, euro 12) arricchito di testi di Alberto Moravia, Natalia Ginzburg e Guido Piovene e da una nota affettuosa di Mario Andreose presidente della casa editrice che con Debenedetti aveva collaborato al Saggiatore all’inizio della sua attività editoriale.
“16 ottobre 1943”, è una delle rare avventure narrative di Giacomo Debenedetti che ha dedicato la vita all’Università (ha chiuso alla Sapienza di Roma dove ebbe come successore Pedullà prima suo allievo a Messina) e alla critica letteraria, approfondendo in particolare gli studi su Proust e Joyce. “16 ottobre 1943” è dunque il suo piccolo grande (quasi unico) capolavoro di scrittore.
Il racconto ricostruisce la “banalità del male” di uno dei momenti più neri della storia d’Italia che oggi certa politica tende a dimenticare educando al male “cattivi allievi”. Quel giorno, nel Ghetto di Roma, in poche ore di una mattina d’autunno le SS agli ordini del maggiore Kappler rastrellarono oltre mille ebrei italiani per indirizzarli verso i campi di sterminio.
Debenedetti narra, e come scrisse Natalia Ginzburg in una recensione per “La Stampa”, sembra che a parlare nel suo racconto sia la realtà: il maggiore Kappler che manda a chiamare i capi della Comunità israelitica e li accusa di essere doppi (come italiani e ebrei) traditori e nemici delle Germania da secoli; Kappler che impone loro di raccogliere e versare tempo un giorno e mezzo cinquanta chili d’oro, e quando con fatica, con affanno lo radunano e lo consegnano ai tedeschi e si sentono tranquilli e si fidano di quel SS si sbagliano. Già la notte del 15 ottobre, nel Ghetto si sentono degli spari, urla sinistre, schiamazzi, voci colleriche. Il mattino dopo inizia il rastrellamento: «Prendono tutti, ma proprio tutti, peggio di quanto si potesse immaginare».
I razziati vengono messi su autofurgoni e condotti alla stazione Tiburtina stivati su carri bestiame e poi il “treno piombato” parte. Molte famiglie furono portate via al completo, senza che lasciassero traccia di sé né a parenti né a amici che ne potessero segnalare la scomparsa. Era il 16 ottobre 1943: giorno mese e anno che compare nel titolo del libro di Debenedetti. Una data, che nell’Italia segnata da un grave declino etico morale e culturale non bisognerebbe dimenticare.
*giornalista e scrittore
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